Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 28 Maggio 2016
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=41434
Non ho molti ricordi della mia infanzia, ma tra i pochi ne cito un paio con piacere:
- Quando guardavo le previsioni del tempo su Rai1 al tempo di Bernacca e Baroni. Avevo circa 3 anni, non sapevo leggere ma mi bastavano i simboletti e le spiegazioni di mia mamma “cosa vuol dire ulteriore diminuzione?” “Che le temperature scenderanno ancora!” “E nevicherà?” “Forse”. Queste conversazioni si svolgevano a Lecce, quindi di neve…pochina.
- Quando guardavamo i telegiornali seduti a tavola e i genitori ci davano le istruzioni per l’uso: “Su Rai1 dicono questo perché sono della DC. Su Rai3 quest’altro perché sono comunisti”.
Insomma… educazione al pensiero critico fin dalla culla, o quasi. Quindi è colpa dei miei, se sono diventato così.
Al liceo seguirono le “analisi critiche del testo”.
Ma niente dà più soddisfazione che commentare certo ciarpame che si legge sui giornali italiani. È uno dei regali del pensiero critico: sulle prime ti arrabbi, in seconda battuta ti fai una risata. Scriverne, poi… è catartico.
Sono molto riluttante a leggere certa carta stampata, perché la ritengo troppo faziosa e allineata al mainstream del pensiero unico globale dominante. So già cosa troverò scritto prima di leggere l’articolo: mi basta la combinazione di titolo e nome del giornale. Non amo regalare contatti ai loro siti. Ma certe gemme… si trovano solamente lì. Allora come un maiale da tartufo anzi… da immondizia, mi vado a cercare articoli come questo comparso sulla Stampa di oggi:
Allarme Unesco, il clima impazzito minaccia i monumenti Patrimonio dell’Umanità
Allarme, clima impazzito, minaccia, patrimonio, umanità… Tanta roba! Ce n’è da riempire il truogolo.
Un’ennesima premessa: viviamo nell’era di internet, quindi vanno di moda i “tags”. Mi piace l’idea di introdurre l’uso dei tag su certi articoli. E vi invito ad aggiungerne di altri nei commenti. Torneranno utili nei prossimi articoli, sicuramente. Si tratta di quelli che mi piace chiamare i Tag del Mainstream Allarmista. C’è della scienza, dietro certi format che si ripetono ossessivamente. Niente è per caso. I Tag dell’Allarmista Professionista sono sempre lì. Sempre uguali. Strumenti del mestiere. Si trovano immancabilmente negli abstract di certe ricerche, di certi progetti. E vengono riversati tal quali negli articoli dei quotidiani generalisti.
Tag 1: LA MINACCIA
La minaccia incombe sempre. “O farai questo oppure… sei fottuto. A meno che…”
Ecco un estratto dei patrimoni minacciati:
- La laguna di Venezia (citazione d’obbligo: Morte a Venezia)
- Stonhenge (una spruzzatina di alone di mistero)
- I moai di Rapa Nui (ulteriore spruzzatina)
- La barriera corallina (per i più piccoli, che ci lascia le squame Nemo)
- I grizzly (stavolta tocca all’orso Yoghi)
- I mari della Nuova Caledonia (azz! Volevo andarci in ferie! A proposito… ‘ndo sta?)
- I gorilla di montagna (niente sequel di Gorilla nella Nebbia)
- Le Galapagos (Darwin si rivolta nella tomba)
- Le foreste dello Yellowstone (vabbè, pacchetto unico con l’orso Yoghi. C’è uno sconto?)
- Le terrazze di riso delle Filippine (mangeranno pasta italiana?)
- Il Drago di Komodo (sorridente qui sotto)
- Lo Ouadi di Qadisha (e non sapevano cos’altro citare, abbiate pazienza!)
L’articolo, minaccioso, ci ammonisce: “i casi di studio sono 31, per 29 località”. Ringraziamo quindi Giorgia Marino per essersi fermata allo Ouadi di Qadisha e averci risparmiato il resto.
Ma non finisce qui. Perché per monumenti e tesori archeologici invece “non c’è scampo” (e ti pareva?) “una volta persi – avverte l’Unesco – lo saranno per sempre”.
Di cosa si parla? Di Palmira? Mosul? Ninive? I Buddha di Banyan? Gli scempi di ISIS e dei Talebani? No. Dei Santuari di Ouadi Qadisha (ruota tutto attorno a questo Ouadi, pare di capire) delle terrazze di riso e… della Statua della Libertà, “danneggiata dall’uragano Sandy”. Avevamo capito male. Il problema per l’Unesco non è il radicalismo islamico che bombarda, demolisce e asfalta vestigia millenarie, ma l’acidificazione degli oceani e il ventaccio che spettina la Statua della Libertà.
Tag 2: L’IMPELLENZA
OK abbiamo capito, c’è la risaia, l’orso Yoghi poi Nemo.. Ma ci sono tante altre cose a cui pensare. C’è tempo.
SBAGLIATO!!!! Non c’è tempo. Perché questi 29, anzi 31 più altri 13… insomma tutti questi benedetti patrimoni dell’umanità scompariranno entro il 2030. Praticamente, domani. Bisogna fare presto, quindi. Ma fare cosa? Qual è il problema che unisce la Statua della Libertà al drago di Komodo, a Yoghi e al gorilla di montagna in un ultimo, drammatico abbraccio laocoontico sul ciglio del burrone? Anzi, nel Ouadi di Qadisha?
Tag 3: IL CLIMA IMPAZZITO
Elementare Watson. Colpa del global warming antropogenico e di quei maledetti 1.2 °C della conferenza di Parigi.
- E la CO2, poi? Mai stata così alta in 800,000 anni (Beh, al riso dovrebbe fare bene, no?)
- E l’acidità degli oceani? (Se ne gioveranno le pelli sensibili. Per gli altri, una soluzione tampone. Bicarbonato?)
- L’ultimo trentennio? Il più caldo in 1400 anni (bei tempi, le ere glaciali…)
- Più eventi estremi, tempeste, uragani, tsunami (tsunami!?!)
- Desertificazioni (E il Global Greening allora? Mettetevi d’accordo una buona volta!)
Non lo sapevate? Allora tornate a Scuola di Allarmismo. Con malcelata sufficienza, Giorgia Marino ci ricorda infatti che è tutta “storia nota”. Per lei, forse…
Ah! Non sei ancora convinto? Altro tag per te:
Tag 4: LA FORZA DEI NUMERI
Altra tecnica per convincere gli scettici, razza dannata. Cosa vuoi opporre alla forza dei numeri tu, miserabile miscredente ignorante e negazionista?
Nella frenesia numerologica (ho contato almeno 20 cifre) si arriva a contare il numero degli esemplari di Drago di Komodo (5.000), il numero di anni (400.000) in cui i coralli hanno resistito al climate change (ma solo perché era “graduale”, neh? Oggi invece…), fino ad arrivare ai danni economici che colpiscono il turismo e il suo 9% di peso sul PIL mondiale. Che di soldi, alla fine, sempre si tratta.
Tag 5: FOLLOW THE MONEY
Dopo aver generato paura, sottolineato l’imminenza della catastrofe, aver identificato l’unico colpevole nel clima impazzito e aver sostanziato il tutto con un diluvio di numeri più o meno esoterici che nemmeno la cabala ebraica, uno si chiede quale sia l’obbiettivo. Il vil denaro, forse?
In effetti è interessante notare che c’è un turismo Unesco-dipendente che genera ricchi profitti. Se qualcosa diventa “patrimonio Unesco”, allora diventa più attrattiva per i turisti, che portano valuta (possibilmente estera) e fanno girare l’economia. Questo ha generato la caccia alla risorsa “patrimoniabile”, che ha portato a perle come queste (Telegraph.co.uk, Wikipedia):
- Il Wrestling turco “oleoso”, con tanto di atleti spalmati di olio per frittura;
- La danza delle forbici peruviana, con sfilata di persone che impugnano forbici giganti;
- La passeggiata sulla corda coreana occasione per intrattenimento di turisti a Seoul;
- La gastronomia sociale francese (quella italiana si consola con la pizza napoletana).
Incuriosisce che paesi come il Giappone abbiano più di venti patrimoni “intangibili”, mentre la Russia due, come il Bangladesh. La politica sicuramente non c’entra.
Un giornale vietnamita ci chiarisce ulteriormente le idee descrivendo il business miliardario legato proprio alla presenza di 18 patrimoni nazionali Unesco, da aggiungere ai patrimoni culturali intangibili della musica popolare Xoan e del canto Ca Trù delle geishe locali. Il giornale ci informa che proprio grazie al tema del “Patrimonio”, il Vietnam ha raggiunto “numeri impressionanti” relativamente al flusso di turisti e di valuta straniera associata. Si parla di miliardi di dollari. Nel’articolo, gli immancabili “esperti” (di cosa?) sostengono che grazie al business del “Patrimonio” arriveranno molte altre opportunità per investimenti stranieri miliardari.
Riassumendo, Il messaggio è chiaro: il business dell’Heritage è miliardario, ma è minacciato dal global warming. Per salvaguardare il business, occorre spendere altri soldi: per finanziare altri progetti di ricerca come questo dell’Unesco? Per attivare progetti di salvaguardia? Per contenere il global warming? Bond “verdi”? Investimenti “etici”? Le possibilità sono virtualmente infinite. Basta che c’entri il global warming, la causa di ogni male.
E questo introduce l’ultimo tag:
Tag 6: LA DECRESCITA FELICE
Per qualche strano motivo, le minacce citate dagli allarmisti vedono sempre l’uomo protagonista. Ma ancora più stranamente, l’azione dell’uomo è sempre indiretta, e il peccato originale è da ricercarsi sempre nello sviluppo industriale.
Gli animali non vengono decimati dal bracconaggio, ma dal global warming. I monumenti non sono distrutti dai terroristi, bensì dagli agenti atmosferici innescati dal global warming. Antropico, ovviamente.
A conferma di questo, un’altra ricerca ci informa che se la causa della rovina dei patrimoni dell’Unesco non è la CO2, allora è comunque colpa dell’industria. La notizia è di appena un mese fa. Il WWF annuncia che i patrimoni minacciati dallo sviluppo industriale sarebbero 114 su 229 (il 50% esatto!), e comprendono la barriera corallina (onnipresente) e Macchu Picchu (altro grande classico).
Il Tag della Decrescita Felice prevede che ci sia un solo rimedio a tutti i mali del mondo: che l’uomo torni all’età della pietra, a cibarsi di tuberi e a mangiare carne cruda, che anche i falò emettono CO2, e non va bene. Se poi la razza umana sparisse del tutto, l’ecosistema non potrebbe che giovarsene. Visto che tutto non si può avere, ci si accontenta di decrescere felicemente: meno industria, meno emissioni, meno ricchezza, meno benessere, ma più felicità. Poveri, ma belli.
Conclusione
I 6 Tag del Mainstream Allarmista ci annunciano un’ennesima scomoda verità (cit.), ovvero che i patrimoni Unesco dell’umanità stanno per sparire. E la colpa è solo dell’uomo e del suo modello di sviluppo basato sull’industria e sulle emissioni associate. A me, scettico e fatalista impenitente, viene invece da pensare che se sommiamo le minacce riportate nei due studi citati forse non rimarranno più patrimoni Unesco da preservare, entro il 2030. E quindi, concludo, non ci sarà più bisogno dell’Unesco. Di questa Unesco, per lo meno.
E se fosse proprio questa, l’unica buona notizia?