Autore: Franco Zavatti
Data di pubblicazione: 15 Dicembre 2020
Fonte originale:  http://www.climatemonitor.it/?p=53968

L’indice di erosione (erosività) è la misura della capacità delle piogge di provocare smottamenti del terreno, frane, improvvise ondate di fango ed altri eventi legati alla (de)strutturazione del territorio: “Storm (rainfall) erosivity, i.e. the capacity of rainfall to cause soil erosion, depends on these extremes” scrivono gli autori del recente Diodato et al., 2020a (d’ora in poi DLB20a; la “a” per distinguerlo da un precedente lavoro sempre del 2020. Questo lavoro è stato presentato su CM, il 27 novembre scorso, qui).

È chiaro che questo indice (misurato in MJ mm ha−1 h−1 yr−1) dipende dall’energia delle precipitazioni e dal tipo di terreno interessato ma è altrettanto chiara la sua dipendenza dalla gestione umana del territorio (e, almeno in Italia, ne abbiamo molte, e spesso tragiche, prove ad ogni forte pioggia).
DLB20a trascurano (a mio parere correttamente) la gestione del territorio e si concentrano sulla energia e durata delle piogge come è giusto fare in un articolo scientifico che non deve avere riflessi “politici”, riflessi che potranno essere aggiunti successivamente, se necessario, e probabilmente da altri.

L’erosività ha bisogno di conoscere nel dettaglio la misura delle piogge forti e la loro durata, dati disponibili solo in tempi recenti, e quindi la sua modellazione per il passato richiede un modello cosiddetto parsimonioso che, cioè, non richieda dati inesistenti e che, per contro, si dovrà calcolare con risoluzione inferiore (da 1 anno in su) rispetto ai modelli dettagliati). Un modello è in ogni caso necessario e DLB20a ne propongono uno (REHM o Rainfall Erosivity Historical Model) che descrivono nei dettagli e che usano per analizzare l’erosività lungo il bacino del Po nel periodo 1500-2019: l’analisi statistica del modello e il confronto con le osservazioni definiscono la sua bontà, ad esempio tramite un ottimo R2=0.71. Gli autori riferiscono di possibili perdite nei massimi dell’indice ma credo che nessuno si aspetti una capacità descrittiva del 100% a fronte di un notevole 70%.
Una ulteriore conferma viene dal confronto di REHM con altri tre modelli semplici, che pure ricostruiscono i dati osservati in modo sensato: tutto indica che il modello usato è migliore dei modelli di confronto, altrettanto parsimoniosi e più semplici, ovvero che: va bene il modello semplice, ma non troppo semplice è meglio.
In figura 1 mostro la figura centrale dell’articolo, essenzialmente il suo compendio.

Fig.1: Figura 5 di DLB20a con un piccolo problema di compatibilità tra le lettere della figura e quelle della didascalia, problema che gli autori hanno corretto in un commento al suindicato post su CM. Questa è la figura principale dell’articolo e mostra il modello e il suo spettro wavelet oltre ad alcune statistiche.

Nelle sue linee generali la figura ci dice che:

  • l’erosività delle piogge è andata progressivamente diminuendo nel tempo ed ha cominciato a salire in corrispondenza della fine convenzionale della PEG (Piccola Era Glaciale), come mostra il fit polinomiale (linea blu), ed è punteggiata da pochi eventi nettamente più importanti (7 in 518 anni, di cui 5 evidenziati dagli autori con una data).
  • Il coefficiente di variazione (linee arancioni) è invece aumentato; come vedremo successivamente, non su tutto l’intervallo ma dopo il 1709 circa, quando la linea grigia in alto riprende a salire.
  • Esiste in questi dati una ciclicità costante su tutto l’intervallo, tra 20 e 40 anni che probabilmente definisce il ritmo degli eventi erosivi. Purtroppo lo spettro non permette di identificare i periodi con precisione.

Con queste premesse, non commenterò ulteriormente il modello calcolato dagli autori e reso disponibile nell’articolo, ma lo userò come un dato di fatto; in particolare utilizzerò qui le colonne 8 e 9, visualizzate nella figura 2, la mia versione della figura 1; al posto dello spettro wavelet mostro lo spettro MEM che permette una migliore definizione dei periodi.

Fig.2: Grafico delle colonne 8 e 9 del file disponibile in DLB20a, il modello REHM, e il suo spettro MEM.

Proprio il confronto tra la figura 1 e la figura 2 mi aveva all’inizio fatto immaginare che il change point, definito nell’anno 1709 circa, fosse poco accurato, dato che l’erosività mostra, in quell’anno, un andamento del tutto normale, senza evidenti salti o interruzioni, come ad esempio succede in corrispondenza dell’anno 1950.
Per verificare la mia idea ho suddiviso i dati in bin di 20 anni e per ognuno ho calcolato la varianza: il risultato è in figura 3 che evidenzia che proprio attorno al 1709 (nel bin che contiene quell’anno) la varianza (il suo fit parabolico) raggiunge un minimo e quindi l’anno (il bin) si pone come un momento di “rottura” dello schema valido fino a quel momento. Un raggruppamento diverso (30 anni), disponibile nel sito di supporto, non cambia concettualmente la situazione anche se i numeri sono ovviamente diversi.

Fig.3: Varianza dei dati di erosività raggruppati in bin di 20 anni. Le frecce blu indicano il bin che contiene l’anno 1709 e l’anno 1950. La linea tratteggiata è il polinomio di secondo grado (la parabola) che rappresenta i dati. Notare come il bin #11 che contiene l’anno 1709 coincida con il minimo della curva.

Il 1950 (bin #23), pur presentando una notevole diminuzione della varianza, non si differenzia da altre situazioni simili e quindi è un anno del tutto normale.
Inutile dire che gli autori avevano ragione e io sbagliavo.

In definitiva, l’erosione del terreno dovuta alle piogge diminuisce per 370 anni e aumenta nei successivi 148 anni, ma la sua variabilità è in aumento dal 1709 (meglio dire dall’uscita dal minimo di Maunder [1645-1715]); questo significa che dalla ripresa dell’attività solare gli eventi possono produrre fenomeni molto intensi ma anche molto deboli, mentre prima i fenomeni erano più simili tra loro.

La memoria a lungo termine (esponente di Hurst)

In DLB20a si attribuisce la perdita (possibile) di alcuni picchi di erositività anche alla presenza di memoria a lungo termine (o forte autocorrelazione dei dati) e si scrive: “The estimated H exponent (R/S method) equal to 0.84 … reflects the existence of low- and high-intensity storm clusters …”.
Nel 2018 (ad esempio in questo post) ho derivato per gli spettri la possibilità di tenere conto della memoria a lungo termine e ho verificato che l’applicazione della derivata prima (o delle differenze prime) mantiene quasi inalterati i massimi spettrali, aumentando la potenza dei periodi più brevi e diminuendo la potenza dei periodi più lunghi (in pratica è una de-stagionalizzazione dei dati che abbassa il contributo dei fattori esterni e amplifica il contributo delle ciclicità interne). Ho quindi applicato la stessa tecnica ai dati di erosione da pioggia per osservare il comportamento dello spettro di figura 2 (ma anche della wavelet di figura 1) prima e dopo l’uso della derivata.
Per sapere quale è il peso della memoria a lungo termine calcolo l’esponente di Hurst (H) in modo approssimato, utilizzando la formula nell’equazione (5) di Koutsoyiannis (2003) troncata al primo termine: ottengo in questo modo Ho=0.855 per i dati osservati e Hd=0.697 per le derivate e così abbasso l’esponente, non ancora ad un livello in cui la memoria a lungo termine non conta più ma ad una situazione in cui pesa meno, come evidenziato dal confronto tra le le funzioni di autocorrelazione (ACF) delle due serie nella figura successiva.

Fig.4: Confronto tra le ACF dell’erosività osservata e della sua derivata prima. Il miglioramento, qui non molto elevato, si osserva nella minore larghezza della funzione di correlazione della derivata: i dati originali sembrano già sufficientemente casuali (poco autocorrelati). Esempi di confronto tra ACF, in cui l’aspetto cambia radicalmente, si possono trovare in questo sito.

L’applicazione del metodo porta alla figura 5 dove si osservano la diversa struttura e il diverso spettro, con, come dicevo, un’amplificazione delle alte frequenze e la quasi scomparsa di quelle basse (il massimo a 65 anni viene indicato solo per confronto, ma anche il massimo a 149 anni, seppur molto più debole e non visibile nella figura, è ancora presente). Un confronto diretto tra i periodi dei massimi spettrali è disponibile nel sito di supporto dove si vede che le differenze tra i periodi sono minime.

Fig.5: Derivata prima numerica dei dati di figura 2 e suo spettro MEM

Un forte impatto visivo si ha nel confronto tra gli spettri wavelet delle due serie.

Fig.6: Spettri wavelet della erosività osservata e derivata tra il 1500 e il 2018. Il processo di derivazione favorisce l’emersione (virata verso il colore rosso) di massimi spettrali di periodo più breve. Rispetto allo spettro di figura 1, qui l’asse verticale -il periodo- è invertito.

L’amplificazione dei periodi più brevi si osserva nella pendenza della banda (ora più frastagliata) colorata in rosso, il colore delle potenze più elevate: rispetto allo spettro osservato, crescono le potenze dei periodi più brevi di una quantità che, in media e in modo molto approssimativo, corrisponde a 10 anni di lunghezza del periodo su 500 anni di estensione temporale (0.02 anni/anno o ~ 7 giorni/anno).

Commenti conclusivi

L’articolo, l’ultimo di una ormai lunga serie di lavori dedicati al bacino del Po, è ben fatto, chiaro e con i dati di partenza a disposizione del lettore: aspetti, tutti, molto positivi e non sempre facili da ottenere in contemporanea. Non nasconde i propri limiti, nè esalta fuori misura i propri meriti; insomma, un lavoro equilibrato e, a mio parere, da leggere.
Ho cercato di guardare i dati da un punto di vista un po’ diverso ma anche così ho ottenuto una conferma dei risultati pubblicati; non però, ancora una volta, una precisa indicazione dell’influenza lunare (massimo a 18.6 anni, solo qualcosa a ~18 anni) che molti associano tout-court alle piogge e che io trovo a macchia di leopardo nelle varie serie climatiche, come se questa influenza non fosse uniformemente distribuita nel tempo e nello spazio.

Dato che forse questa è la sede per una lettura più “politica” dei risultati, quanto avevo scritto di un aumento dell’erosività dall’uscita della PEG ad oggi, merita una lettura più dettagliata:

  1. intanto, qualcuno, vorrebbe sostituire “uscita dalla PEG” con “inizio della rivoluzione industriale” in modo da identificare una (e sola) causa per l’aumento dell’erosione del terreno, e poi
  2. se osserviamo meglio il grafico di figura 1 o 2, possiamo notare che gran parte del, ma direi tutto, l’aumento post 1870 circa è dovuto al salto (change point) posizionato nel 1950; la media dei valori successivi è più alta di quella dei precedenti che erano in chiara fase di discesa e quindi, forse, varrebbe la pena di indagare sugli eventi significativi attorno a quella data.
  3. Di conseguenza sarei molto cauto nell’affermare che la causa principale possa essere l’AGW (cosa che gli autori non fanno), anche se la gestione del territorio (non certo la modifica del clima!) ha la sua (notevole) importanza in zone altamente vocate all’agricoltura e molto urbanizzate.

Bibliografia

  • Nazzareno Diodato, Fredrik Charpentier Ljungqvist, Gianni Bellocchi: Monthly storminess over the Po River Basin during the past millennium (800–2018 CE)Environ. Res. Commun2, 2020. https://doi.org/10.1088/2515-7620/ab7ee9.   S.I. (Dataset)
  • Nazzareno Diodato, Fredrik Charpentier Ljungqvist, Gianni Bellocchi: Historical predictability of rainfall erosivity: a reconstruction for monitoring extremes over Northern Italy (1500–2019) npj Climate and Atmospheric Science3, 46, 2020a. https://doi.org/10.1038/ s41612-020-00144-9S.I.
  • Koutsoyiannis D.: Climate change, the Hurst phenomenon, and hydrological statistics Hydrological Sciences-Journal-des Sciences Hydrologiques48:1, 3-24, 2003. S.I. doi:10.1623/hysj.481.3.43481
    Tutti i dati e i grafici sono disponibi nel sito di supporto.
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