Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 15 Ottobre 2021
Fonte originale:  http://www.climatemonitor.it/?p=55829

Nell’imbarazzato silenzio generale di questi ultimi sei mesi in cui l’Artico ha fatto segnare estensioni di ghiaccio superiori alla media degli ultimi 15 anni (ne parleremo), anche l’Antartide ha voluto dire la sua, segnando una impressionante serie di record di freddo che hanno fatto sì che l’inverno appena trascorso sia stato il più freddo dell’intera serie storica per la celebre stazione meteorologica di Amundsen-Scott, in una stagione che ha visto cadere il record di freddo stabilito nel lontano 1987 quando i media (vale la pena ricordarlo) si stracciavano le vesti per l’imminente arrivo di una glaciazione, data per certa dagli scienziatoni del clima di allora.

Mentre in Italia tutto tace, la stampa clima-catastrofista americana ha subito lanciato il Rescue Team in una disperata azione di salvataggio della narrativa, con i soliti esiti grotteschi: su tutti il Washington Post che in un mirabile articolo spiega che beh, sì, in effetti ha fatto davvero un freddo tremendo in Antartide ma

Stridio di unghie sugli specchi

Ma la versione del Rescue Team di Bezos è che l’Antartide fa storia a sè, spesso va controtendenza, magari questo freddo eccessivo è dovuto al buco nell’ozono (!), e poi in realtà l’Antartide si sta scaldando, e comunque nel resto del mondo ha fatto caldo. Gli scienziati garantiscono che questo è solo un “blip” (un temporaneo e casuale scostamento da un trend acclarato) e una “curiosity”.

Morale: circolare, niente di interessante da vedere da queste parti… Meglio ancora se tornate a dormire,

Certo ce ne sono tante di “curiosity” ultimamente, in questo recente periodo in cui i satelliti (complice la scorsa Nina) riscontrano un calo delle temperature a livello globale rispetto agli scorsi anni, e i ghiacci dell’Artico e dell’Antartico non ne vogliono proprio sapere di seguire le traiettorie tracciate dai modelli climatici.

Che la “scienza del clima” sia in difficoltà nello spiegare quello che sta accandendo, è del tutto evidente anche a livello lessicale. Per esempio, “oddity”, ovvero “stranezza” è stato il termine usato di recente del celebre NSIDC americano nel commentare una estate artica decisamente fresca e che ha lasciato in eredità molto più ghiaccio del previsto (ne parleremo presto).

Se i profeti della distruzione climatica si ritrovano a parlare di “curiosità” e di “stranezze”, forse è perché la realtà dei dati sul scampo sta restituendo numeri che con la narrativa mediatica non hanno molto a che vedere.

Una storia nella storia

Eppure, l’imbarazzata (e imbarazzante) difesa d’ufficio del Rescue Team di Bezos ci offre l’opportunità per aprire uno squarcio sul modo in cui certa ricerca scientifica è stata dato in pasto dai media agli ignari lettori.

L’affermazione del WaPo a proposito di un’Antartide che si riscalda, per esempio, lascia decisamente perplessi. Non esiste infatti evidenza di un riscaldamento dell’Antartide nel suo complesso dall’inizio delle serie storiche a disposizione.

Ad esempio, nonostante il grandissimo rilievo dato negli anni scorsi dai media al riscaldamento di una assai piccola porzione del continente australe (segnatamente la Penisola Antartica, poi inopinatamente raffreddatasi anch’essa e quindi sparita dalla narrativa), il trend delle temperature su gran parte dell’Antartide resta comunque negativo dal 1979 al 2014 (Pang-Chi Hsu et al, 2021, Fig.1).

A dire il vero, i paper sui trend di temperatura in Antartide abbondano, alcuni sono in palese contraddizione con altri, ma se proprio si vuole cercare un filo conduttore tra le tante pubblicazioni in materia, questo è rappresentato proprio dalla prevalenza della variabilità naturale su ipotetici riscaldamenti “antropici”. Variabilità che si manifesta nella forma di cicli multidecennali come la Madden-Julian Oscillation, o la stessa ENSO.

L’esito degli studi sui trend di temperatura antartici, infatti, continua a dimostrarsi fortemente dipendente dal periodo temporale esaminato.

E proprio per tornare a bomba, il caso della stazione di Amundsen-Scott è semplicemente emblematico. Lazzara et al (2012), nella serie 1957-2010 per la stazione in oggetto identificano un trend di temperature in leggera diminuzione, sebbene “statisticamente non significativa”.

Prendendo in esame una serie molto più breve (1989-2018), invece, Clem et al. (2020) riscontrano un “riscaldamento record” in Antartide. Lo fanno prendendo in esame le temperature di 20 stazioni meteorologiche nel periodo considerato. La quasi totalità delle quali mostra trend scarsamente significativi in termini statistici (Fig. 2). Con una clamorosa eccezione che, da sola, determina buona parte del trend identificato.

Indovinate qual è l’eccezione? Proprio Amundsen-Scott, che per il trentennio considerato mostra uno scostamento-monstre al rialzo di quasi due gradi.

Come si vede in Fig. 3, il trentennio considerato da Clem et al. per Amundsen-Scott (pur con il caveat che la figura si riferisce al solo semestre freddo) elimina i picchi di temperatura dei primi anni ’60, mentre porta con sè la dote dei minimi ripetuti dei primi anni ‘2000, con l’effetto di creare un trend al riscaldamento esasperato.

Trend ulteriormente sconfessato dai rilevamenti degli ultimi anni, complice proprio il recente record di temperatura invernale più bassa. Con l’effetto di rendere ancor meno significativo il dato di Amundsen-Scott usato da Clem et al. e (proprio alla luce dello scostamento-monstre della stessa stazione rispetto alle altre) inficiandone sostanzialmente le conclusioni riguardo al presunto trend di riscaldamento “record”.

Del resto proprio il paper di Clem et al. metteva le mani avanti, fin dall’Abstract, sottolineando l’importanza delle configurazioni sinottiche e sostanzialmente attribuendo alla “variabilità naturale” il trend in questione. Ma con una sorprendente postilla finale: sarebbe proprio questa “variabilità naturale” ad aver mascherato in Antartide il segnale del “riscaldamento antropogenico” nel 21simo secolo.

Conclusione che, in considerazione dell’intera serie storica di Amundsen-Scott (ovvero inclusiva dei record recenti di freddo, e del periodo “caldo” dei primi anni ‘60) lascia semplicemente stupefatti. Conclusione che offre tuttavia una stampella perfetta a quella narrativa prevalente sui media da molti anni secondo cui l’Antartide, per dirla alla WaPo, “fa storia a sè”: il riscaldamento antropico c’è anche lì. Solo che non si vede.

Considerazioni a senso unico

E nessuno che provi, piuttosto, a fare un ragionamento diametralmente opposto: ovvero che l’Antartide, per quanto isolata dalle dinamiche della circolazione atmosferica e marina dell’emisfero sud, proprio per l’assenza di fenomeni di riscaldamento antropico localizzato (leggi isola di calore urbana), per la minore rilevanza degli aerosol, e per la tanto sbandierata “amplificazione polare”, potrebbe invece fornire dei trend di temperatura molto più affidabili rispetto a quelli calcolati facendo uso dei dati di stazioni meteorologiche collocate in aree urbanizzate.

Un’altra “oddity”. Un’altra “curiosity” tra le tante di questo strano periodo in cui la scienza del clima sembra ritrovarsi a combattere con un nemico molto più ostico del previsto.

Che non è il “negazionismo climatico”, ma la realtà dei fatti.