Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 21 Aprile 2018
Fonte originale:  http://www.climatemonitor.it/?p=48157

Ci informa La Stampa attraverso l’imperdibile inserto “TuttoGreen” che nel 2050 avremo 145 milioni di migranti climatici. Bisogna crederci, visto che lo dice l’autorevolissima Banca Mondiale in un rapporto all’insegna dell’ineluttabilità, fin dal titolo: “Groundswell: Preparing for Internal Climate Migration”. L’articolo è la solita collezione di luoghi comuni climatisti: alla base di tutto ci sono i famigerati scenari dell’IPCC sul riscaldamento globale antropogenico, con la variante che questa volta l’aumento di temperatura è messo in relazione con il numero di “migranti climatici”.

Che si tratti di numeri in libertà è del tutto evidente, vista l’imbarazzante performance storica dei modelli climatici, per non parlare della pretesa ridicola di attribuire a degli scenari inaffidabili in partenza, persino la capacità di indurre migrazioni. A testimonianza della serietà di questi studi vale la pena ricordare che sullo stesso inserto della Stampa soltanto 4 mesi prima si profetizzava che nel 2050 i rifugiati climatici sarebbero stati… un miliardo. Una differenza appena del 700%, roba da “scienza settled”.

Definizione

Prima di lanciarsi in previsioni dagli esiti così grotteschi, forse varrebbe la pena cominciare col chiedersi qual è l’oggetto della previsione, ovvero cosa è un migrante climatico. Ce lo spiega l’International Organization for Migration (IOM) con una definizione che suona più o meno così: “I migranti ambientali sono persone (…) che per ragioni impellenti legate all’improvviso o al progressivo cambiamento ambientale che ne peggiora le condizioni di vita, sono obbligate a lasciare le loro residenze abituali, o scelgono di farlo, temporaneamente o permanentemente”. Una definizione talmente vaga da includere praticamente di tutto, anche il signor Rossi che a causa di una improvvisa ondata di caldo estivo scappa dalla città con la famiglia per cercare refrigerio in montagna o al mare.

Ma basta farsi un giro su internet per notare come dietro al tema della migrazione climatica si muova il solito circo Barnum di ONG, esponenti politici, gruppi di pressione ambientalisti, sedicenti filantropi multimiliardari e media compiacenti, in una fusione perfetta di interessi (e di narrative) che sublima fondamentalismo ambientalista e immigrazionismo: due colonne portanti del pensiero globalista dominante.

Panacea di tutti i mali

Che la narrativa sul “migrante climatico” sia a dir poco contraddittoria è del tutto evidente. A partire dagli scopi dichiarati dalla stessa IOM, in aperto contrasto tra loro: se da una parte si dichiara di voler “prevenire le migrazioni forzate indotte da fattori ambientali”, dall’altra si di afferma la volontà di “facilitare la migrazione come forma di adattamento al climate change”. Ed ecco che il passo tra il pannello solare e il barcone della ONG si fa di colpo brevissimo.

Per gli illuminati sacerdoti del pensiero globalista, del resto, l’immigrazione di massa rappresenta la panacea di tutti i (loro) mali:

  • Abbassa il costo del lavoro nei paesi sviluppati, procurando manodopera a buon mercato rispetto a quella autoctona.
  • Risolve il problema della bassa natalità nei paesi sviluppati, che sottende all’insostenibilità del sistema pensionistico e all’impossibilità di far crescere il PIL all’infinito.
  • Risolve il problema dell’esplosione demografica nei paesi in via di sviluppo, deportando persone in età riproduttiva in paesi in cui la natalità è scoraggiata da fattori sociali e culturali.

Tutto perfetto quindi? Niente affatto, a causa della disdicevole ostilità degli indigeni ad accogliere a braccia aperte le benedette masse di migranti. Ed è proprio in questo, che il Climate Change gioca un ruolo determinante: in una pura operazione lessicale in chiave politically correct per trasformare quello che 10 anni fa veniva definito “migrante economico”, “immigrato illegale” o più semplicemente “clandestino”, in un più accattivante “migrante climatico”. Ché nel vocabolario globalista, anche la scelta di un singolo aggettivo aiuta a segnare il labile confine tra legale e illegale, utile e dannoso, accoglienza e xenofobia, bon ton ed hate-speech.

…E anche quello tra guerra e pace, visto che il Principe Carlo (in buona compagnia) ci insegna che la guerra in Siria è scoppiata a causa della migrazione climatica indotta da una siccità, quando la letteratura scientifica sull’argomento dimostra chiaramente che si tratta nel migliore dei casi di una forzatura, e nel peggiore di un falso storico, come ben spiegato su queste pagine da Luigi Mariani già più di due anni fa.

E allora salvate il soldato Climate Change, che nella guerra spietata tra globalismo e neo-nazionalismi non si possono fare prigionieri.

E la verità, è solo una Fake News.