Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 01 Aprile 2021
Fonte originale:  http://www.climatemonitor.it/?p=54696

Perché si vede sorgere d’un tratto la sagoma della nave dei folli, e il suo equipaggio insensato che invade i paesaggi più familiari? Perché, dalla vecchia alleanza dell’acqua con la follia, è nata un giorno, e proprio quel giorno, questa barca?”  (Michel Foucault)

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La rincorsa a rotta di collo verso il più clamoroso e ridicolo suicidio di massa nella storia dell’umanità segna ogni giorno nuovi ed ambiziosi traguardi. In una lotta all’arma bianca contro i nemici più temibili della “neo-scienza dell’energia”: il primo e il secondo principio della termodinamica.

Il guanto della sfida a Kelvin e Clausius viene lanciato in questo caso dalla Maersk, il gigante danese leader nel trasporto marittimo. Che annuncia con gran pompa l’avvio di un progetto per l’utilizzo di ammoniaca come combustibile per le navi.

Retroscena

Il retroscena pare essere il solito: quello per cui i gruppi industriali del mondo occidentale devono rilasciare con regolarità comunicati stampa “green” per guadagnarsi la benevolenza di fondi pensione, fondi sovrani e fondi di investimento che guidano (allocando sui mercati trilioni di dollari, e soprattuto dislocandoli), la transizione delle economie occidentali verso un nuovo Paleolitico corporativista, monopolista e socialistoide.

Ma con le peculiarità proprie del settore di riferimento. Nel caso specifico, il trasporto marittimo era già stato sottoposto di recente ad una rivoluzione “green” a causa della direttiva europea 2016/802/EU che impone limiti sulle emissioni di SOx ed NOx (responsabili delle piogge acide) e del particolato. Direttiva che ha di fatto imposto l’utilizzo di diesel a basso tenore di zolfo anche al settore marittimo.

Bene. Problema risolto, quindi? Ovviamente no, perché bruciando il diesel (per quanto “green”) si emette comunque CO2. Il che è inaccettabile per una civiltà la cui unica missione è diventata affamare le piante. Il che mette fuori gioco anche l’utilizzo del gas naturale (stoccato come LNG), per quanto ancora più “green” del diesel in termini di emissioni.

E la batteria che salva tutti i peccati del mondo? Malauguratamente ricaricare una porta-container infilando una spina in una presa non è impresa facile. Il problema assume quindi i contorni del rompicapo. Cosa resta? In che modo si può sostituire una tecnologia economica ed efficiente con una abbastanza dispendiosa e insostenibile da mettere fuori mercato il trasporto navale dei paesi occidentali?

L’idrogeno, l’idrogeno!!!

Resta innanzitutto l’ideona dell’idrogeno, riesumato in tutta fretta grazie al Great Reset post-Covid dopo un decennio di (meritato) oblio. Diciamo subito che dotare le navi di grandi serbatoi di idrogeno liquefatto a bassissime temperature, o compresso ad altissime pressioni, con tutti i rischi (e gli extra-costi) che questo comporta, non appare una scelta particolarmente oculata. Tanto più se lo si fa con l’intento di “preservare” l’ecosistema marino.

Resta il fatto che non essendo disponibile in natura allo stato libero, l’idrogeno viene tipicamente generato a partire dagli idrocarburi con lo steam reforming (idrogeno “grigio”). Con la possibile geniale ottimizzazione di reiniettare la CO2 prodotta sotto terra per evitare che le piante la utilizzino nella fotosintesi (idrogeno “blu”).

Oppure si può produrlo per elettrolisi dell’acqua, ma (orrore!!!) utilizzando energia fornita dagli idrocarburi (idrogeno “nero”, definizione poco politically correct, qualcuno potrebbe arrabbiarsi).

Ma il top sarebbe il mitologico “idrogeno verde”. Quello cioè generato attraverso l’elettrolisi dell’acqua facendo uso di energia prodotta in modo “rinnovabile”: dalla dea Pala o dal dio Pannello.

Spreco circolare

Ma anche l’idrogeno “verde” tanto verde non è, perché con quale energia si produrranno i pannelli e le pale necessari allo scopo? In buona parte da idrocarburi e dal nucleare, tanto più se si considera che i pannelli solari sono prodotti ormai in massima parte in Cina. Almeno per qualche altro decennio in cui il mix energetico continuerà ad imporre le sue regole.

In un futuro più o meno lontano in cui saranno risolti i problemi relativi all’intermittenza delle energie rinnovabili, al costo dell’accumulo delle stesse, e al costo della supply-chain  (dalla produzione allo stoccaggio alla distribuzione) l’idrogeno “verde” sarà una tecnologia spendibile anche per il trasporto marittimo. Pur con i costi e i rischi addizionali connessi all’applicazione marina.

Fatto sta, se si vuole percorrere la via tecnologicamente più praticabile oggi, occorrerebbe generarlo da steam reforming del metano, o per elettrolisi dell’acqua utilizzando energia in buona parte prodotta da idrocarburi in una apoteosi di spreco circolare in cui si continuerebbero a utilizzare gli idrocarburi, ma non per generare immediatamente energia. Bensì per separare l’idrogeno dal carbonio o dall’ossigeno. Per poi comprimere/raffreddare l’idrogeno a scopo di stoccaggio. E infine bruciarlo.

Una sfida senza esclusione di colpi al primo e al secondo principio della termodinamica nella pretesa di sottoporre la materia ad una serie infinita di trasformazioni chimiche e fisiche senza pagare un prezzo a causa delle irreversibilità associate a queste trasformazioni. E tutto questo, col solo fine di impedire alle piante di mangiare CO2. Geniale vero?

Il Prodigo e la Scema

Ma se Idrogeno è il figlio spendaccione del signor Metano (quello che manda l’impresa familiare a gambe all’aria perché pretende di sapere tutto senza aver studiato nulla), Ammoniaca è decisamente la nipote scema.

Innanzitutto perché l’ammoniaca che salva i peccati della Mersk si ottiene proprio a partire dall’idrogeno, combinandolo con l’azoto. Grazie al processo inventato dal genio di Haber circa un secolo fa, quando la scienza era ancora una cosa seria. Una ulteriore trasformazione, quindi. Altre irreversibilità e altra entropia generata. Altri schiaffoni a Clausius e Kelvin da parte dei gretini.

Il tutto per generare un “combustibile” per il quale attualmente non esiste ancora una tecnologia matura in ambito motoristico.

Ma soprattutto… l’ammoniaca (sostanza di per sè estremamente tossica per l’ecosistema marino) è un combustibile che presenta il problemino di generare grandi quantità di NOx nel processo di combustione, o in alternativa incombusti (ammoniaca libera) e particolato. I “nuovi Clausius” sostengono però che questo non è un problema, perché le portacontainer sono abbastanza spaziose da poter ospitare dei mega-marmittoni catalitici sul modello di quelli delle automobili. Peccato che l’abbattimento non sarà mai del 100%, e quindi gli NOx verrebbero emessi comunque.

E pensare che il tutto era cominciato proprio dalla necessità di abbattere gli NOx e il particolato come da normativa europea del 2016. Un mirabile esempio di scemenza circolare.

Riepilogo ed Epilogo

Con l’unico obbiettivo di rubare CO2 alle piante ed affarmarle, dovremmo quindi produrre l’equivalente contemporaneo della “Nave dei Folli” di medievale memoria: una nave ad ammoniaca che sperperi una quantità di energia mostruosa nelle trasformazioni chimico/fisiche del processo produttivo, che comporti investimenti ingentissimi in tecnologie motoristiche dedicate, che sia capace di danneggiare l’ecosistema marino con piogge acide o rilasci di ammoniaca.

Ma soprattutto, una nave che incidentalmente uccida l’industria europea del trasporto marittimo a causa degli extra-costi collegati allo spreco monumentale di energia appena descritto. A tutto vantaggio di chi continuerà ad alimentare le sue navi a diesel e nafta, strafregandosene delle cretinerie ambientaliste occidentali.

Siamo diventati l’equivalente di una civiltà che investe il suo massimo sforzo “scientifico” e “tecnologico” nella realizzazione di una automobile con le ruote quadrate, premurandoci per altro di acquistare i cerchioni (anzi, i “quadratoni”) dalla Cina. Il tutto mentre cinesi e altri nostri competitor continuano a correre usando ruote convenzionali.

E come tali, meritiamo di estinguerci senza che venga spesa una sola lacrima per noi.

Al più una risata. Anzi due: quelle di Kelvin e Clausius. Sembra già di sentirli ridacchiare, in sottofondo a certi comunicati stampa.