Di Enzo Ragusa

Lo studio ha avuto un grande successo e ha trovato che soltanto il 15% della crescita della CO2 è dovuta all’industrializzazione e alle emissioni umane.

By Kenneth Richard on 25. February 2017

 

 

Harde, 2017

 

Abstract:

Gli scienziati del clima presumono che il ciclo del carbonio sia uscito dal proprio equilibrio a causa delle crescenti emissioni antropiche provenienti dalla combustione dei combustibili fossili e dal cambiamento dell’uso del suolo. Questo è, secondo loro, il primo responsabile della rapida crescita della concentrazione atmosferica di CO2 negli ultimi anni ed è stimato che la rimozione delle emissioni aggiuntive provenienti dall’atmosfera richiederanno poche centinaia di migliaia di anni. Dal momento che questo è accompagnato da un crescente effetto serra e da un ulteriore riscaldamento globale, una migliore comprensione del ciclo del carbonio è di grande importanza per tutte le future previsioni sul cambiamento
climatico. Abbiamo esaminato criticamente questo ciclo presentandone un concetto alternativo, cioè l’assorbimento della CO2 e i prelievi naturali con scala proporzionale alla concentrazione della CO2. Inoltre, consideriamo i tassi naturali di emissione e di assorbimento dipendenti dalla temperatura, con la quale si possono spiegare le variazioni paleo climatiche della CO2 e del suo tasso di crescita effettivo. Il contributo antropogenico alla concentrazione effettiva della CO2 è risultato pari al 4,3%, la sua frazione all’aumento di CO2 rispetto all’era industriale è del 15% e il periodo di tempo medio in cui la CO2 staziona nell’atmosfera è di 4 anni.

 

Conclusione:

Gli scienziati del clima ipotizzano che il ciclo del carbonio è disturbato, risultando fuori equilibrio dalle crescenti emissioni antropiche provenienti dalla combustione dei combustibili fossili e dal cambiamento nell’utilizzo del territorio, questo sarebbe il responsabile delle concentrazioni atmosferiche di CO2 in forte aumento negli ultimi anni. Mentre sull’intero Olocene fino all’entrata dell’era industriale (1750) le emissioni naturali da parte dei processi eterotrofi e di calore dovevano risultare in equilibrio con l’assorbimento da parte della fotosintesi e dello scambio di gas netto di oceani e atmosfera, con l’inizio del periodo industriale l’IPCC ha stimato che circa il 15-40% delle emissioni supplementari non possano più essere assorbite dal sistema naturale accumulandosi nell’atmosfera.

L’IPCC sostiene inoltre che la CO2 emessa fino al 2100 rimarrà nell’atmosfera più a lungo di un periodo di 1000 anni e, nello stesso contesto, viene anche menzionato che la rimozione della CO2 emessa in atmosfera da processi naturali richiederà poche centinaia di migliaia di anni (Alta fiducia) (vedi AR5-Capitolo 6-Executive-Summary).

Dal momento che le concentrazioni di CO2 aumentano, di conseguenza ci sarebbe un aumento dell’effetto serra e quindi un ulteriore riscaldamento globale, c’è però bisogno di una migliore comprensione del ciclo del carbonio che diviene requisito indispensabile per tutte le future previsioni sul cambiamento climatico. Nei loro schemi di conteggio e nei modelli del ciclo del carbonio l’IPCC utilizza molti nuovi e dettagliati dati che si concentrano principalmente sull’emissione dei combustibili fossili, le costruzioni edilizie, il cambio nell’utilizzo e nello sfruttamento del suolo (cfr. AR5-WG1-Chap.6.3.2), ma che in gran parte trascura le variazioni delle emissioni naturali che contribuiscono a oltre il 95% delle emissioni totali e che non possono essere considerate costanti per periodi più lunghi (vedi, ad esempio, le variazioni negli ultimi 800.000 anni (Jouzel et al., 2007) (Monnin et al., 2001), o l’olocene più giovane (Monnin et al., 2004; Wagner et al., 2004).
Poiché le nostre stime relative al periodo di tempo medio della CO2 nell’atmosfera differiscono per diversi ordini di grandezza dai valori dell’IPCC annunciati e, dall’altro, dalle indagini concrete di Humlum et al. (2013) o Salby (2013, 2016) che mostrano una forte relazione tra il tasso di emissione di CO2 e la temperatura superficiale, è stata una motivazione sufficiente per esaminare in dettaglio il piano di conteggio dell’IPCC e per contrastarlo ai nostri calcoli.

A differenza dell’IPCC, cominciamo con un’equazione di tasso per i processi di emissione e assorbimento, in cui l’assorbimento non è assunto come saturo ma è a scalare proporzionale alla concentrazione effettiva della CO2 nell’atmosfera (vedi anche Essenhigh, 2009, Salby, 2016). Questo è giustificato dall’osservazione di un decadimento esponenziale di 14C. Una saturazione frazionata, come presuppone l’IPCC, può essere espressa direttamente da un tempo di soggiorno più grande della CO2 nell’atmosfera e fa distinzione tra un tempo di rotazione e un tempo di regolazione
inutile. Sulla base di questo approccio e come soluzione dell’equazione del tasso dove si ottiene una concentrazione a stato stazionario, determinata solo dal prodotto della percentuale di emissione totale e del tempo di permanenza. Nelle condizioni attuali, le emissioni naturali contribuiscono a 373 ppm e alle emissioni antropiche a 17 ppm sulla concentrazione totale di 390 ppm (2012). Per il periodo di tempo medio in cui staziona la CO2 troviamo un periodo di soli 4 anni.

L’aumento più forte della concentrazione rispetto all’era industriale fino ai tempi attuali può essere spiegato introducendo un tasso di emissione naturale dipendente dalla temperatura e un tempo di permanenza con temperatura condizionata. Con questo approccio, non solo abbiamo l’aumento esponenziale con l’inizio del periodo industriale, ma anche le concentrazioni in tempi interglaciali glaciali e freddi possono essere riprodotte in pieno accordo con tutte le osservazioni. Pertanto, diverso dell’interpretazione dell’IPCC, il forte aumento della concentrazione dal 1850 trova la sua naturale spiegazione nei processi di auto accelerazione, da una parte il più forte degassamento degli oceani, nonché da una crescita più rapida e da una decomposizione, dall’altra parte un aumento del tempo di permanenza a ridotta solubilità della CO2 negli oceani.

Insieme a ciò si traduce in un guadagno naturale dominante della temperatura, che contribuisce a circa l’85% dell’aumento di CO2 di 110 ppm rispetto all’era industriale, mentre le emissioni antropiche effettive del 4,3% danno solo il 15%. Questi risultati indicano che quasi tutta la variazione osservata di CO2 durante l’Era Industriale è seguita, non dall’emissione antropica, ma da variazioni di emissioni naturali.

 

 

I risultati sono coerenti con il ritardo osservato nei cambiamenti della CO2 dietro ai cambiamenti della temperatura (Humlum et al., 2013; Salby, 2013), una firma di causa ed effetto. La nostra analisi del ciclo del carbonio, che usa esclusivamente i dati relativi alle concentrazioni e ai flussi di CO2 pubblicati in AR5, dimostrano che è possibile anche un’interpretazione completamente diversa di questi dati, in completa conformità a tutte le osservazioni e alle sue causalità naturali.

 

 

Esaminando il periodo di tempo del carbonio e della CO2 in atmosfera

Highlights

Un ciclo alternativo di carbonio è presentato in accordo con il decadimento del carbonio 14.
Il tasso di assorbimento della CO2 è proporzionale alla concentrazione della CO2.
Sono considerati i tassi di emissione e di assorbimento naturali dipendenti dalla temperatura.
Il tempo medio di permanenza della CO2 nell’atmosfera è risultato di 4 anni.
Le variazioni paleo climatiche della CO2 e il tasso di crescita effettivo della CO2 sono ben riprodotte.
La frazione antropogenica della CO2 nell’atmosfera è solo del 4,3%.
Le emissioni umane contribuiscono solo per il 15% dell’aumento della CO2 durante l’era industriale.

 

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