Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 30 Dicembre 2017
Fonte originale:  http://www.climatemonitor.it/?p=46931

 

In data 28 Dicembre 2017 il seguente tweet ha seminato il panico sui media politically correct di mezzo mondo:

Tradotto, recita qualcosa del tipo: “Negli stati orientali potrebbe essere la notte di Capodanno PIÙ FREDDA di sempre. Forse potremmo scaldarci con un pochino di quel buon vecchio Global Warming per proteggerci dal quale il nostro Paese (e non altri), stava per pagare TRILIONI DI DOLLARI. Copritevi!

Immediatamente i pasdaran della narrativa globalista sono insorti denunciando urbi et orbi che l’autore del tweet è un rovina-mondo e non capisce la banale differenza tra clima e tempo atmosferico. Una differenza che, per la verità, la quasi totalità degli stessi media dimostra di non conoscere quando imputa al global warming qualsiasi episodio caldo, siccitoso, o “estremo” (Fig.1).

Ma noi italiani non siamo secondi a nessuno quando si tratta di pestare l’acqua nel mortaio del Politically Correct, e se il Fatto Quotidiano annuncia la “scomparsa del ghiaccio” sulle Alpi proprio mentre le stesse sono sepolte di neve con tanto di disgraziati costretti a dormire nelle loro auto, la Repubblica reagisce al “negazionismo” climatico snocciolando le dichiarazioni sdegnate di una serie di politici democratici, con tanto di citazione del sequel del già fallimentare clima-panettone di Al Gore.

Fig.1. L’interpretazione politically-correct di quanto sta avvenendo negli USA. Fonte: www.realclimatescience.com

 

Il Re è nudo

Diciamo la verità: l’isterica levata di scudi dei media di mezzo mondo a fronte di un semplice tweet si giustifica alla luce del fatto che il Re è nudo, e non è per niente un bel vedere, tra l’altro. Se il solo sottolineare che fa freddo mentre gran parte del tuo Paese è nel freezer ti vale l’accusa di “negazionismo”, e quindi implicitamente di nazi-fascismo, questo accade solo perché la retorica catastrofista mostra la corda.

E la cosa non deve sorprendere, perché il semplice buon senso fa a pugni con le storielle raccontate dai cantori del global warming: a fronte delle temperature polari e degli annessi disagi che in questi giorni interessano circa 200 milioni di americani, quanto vale l’aumento di temperatura dell’ordine del decimo di grado con cui i media quotidianamente ci ammorbano da 30 anni?

Il nocciolo della questione infatti, a dispetto del fuoco di sbarramento dei media del mainstream, non è tanto nella differenza tra clima e tempo atmosferico, quanto nel fatto che quel circa mezzo grado in più costituisca realmente un problema. Il dubbio è legittimo, non solo a fronte dei disagi associati a ondate di gelo invernali come quella in oggetto, ma anche alla luce dell’incremento della produzione agricola, dell’aumento della copertura vegetale su scala planetaria e dell’assenza di trend significativi riferibili ai cosiddetti “fenomeni estremi”.

È proprio questo, il vero tallone d’Achille della narrativa dominante: perché se il rumore di fondo e la caciara dei media amici possono aiutare a nascondere i catastrofici fallimenti dei modelli climatici e a sostenere la narrativa dell’uomo rovina-mondo, resta invece straordinariamente difficile dimostrare che l’aumento di temperatura registrato negli ultimi decenni abbia fatto più male che bene.

Il re è nudo. E fa pure freddo.

Buon 2018 a tutti.