Autore: Massimo Lupicino
Data di pubblicazione: 22 Marzo 2018
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=47861
Che nel quartier generale del catastrofismo climatico si respiri un’atmosfera disperata degna di un bunker sotto assedio è evidente da tempo. C’è da capirli: sono assediati dalla realtà, una realtà fatta di nevicate record, precipitazioni abbondanti e ondate di freddo “vecchio stile”. Per fortuna, però, dalle parti dei salvamondo non si lascia nulla al caso e i corsi di “Comunicazione del Climate Change” spuntati come funghi da alcuni anni a questa parte, sembrano concretizzarsi magicamente nella forma di perle giornalistiche come quella di cui parliamo oggi.
Livello infimo
Come impongono le regole basilari della comunicazione politica, infatti, anche per il tema iper-politico del Climate Change vale la necessità di adeguarsi al livello dell’interlocutore. Ché con il troglodita negazionista non serve a nulla parlare di grafici, omogeneizzazioni e modelli climatici: bisogna abbassare in modo esponenziale il livello della comunicazione. Come fa La Stampa nell’articolo pubblicato in data 19 Marzo 2018. Titolo e sottotitolo parlano da soli:
Riassumendo, l’autorevole MetOffice prevede un aumento di temperatura di 1.5 gradi nei prossimi 5 anni “rispetto al periodo preindustriale”, avvicinandoci pericolosamente ai 2 gradi della soglia di sicurezza fissata per il 2100. Gradi che però potrebbero essere anche 5.
La plebe tuttavia è sorda agli ammonimenti dei saggi: “Molte persone ti guardano stupite quando parli di un paio di gradi in più nel clima globale: cosa vuoi che siano!” Poveri stolti, non sanno cosa li aspetta: tanto per cominciare, i 35 gradi estivi diventeranno 45. Ma non basta: “la vita non è più facile, ti assale il colpo di calore, si diffondono le malattie da insetti vettori tropicali, salta l’agricoltura, scompaiono i ghiacciai, crescono i livelli marini”.
Non ne hai avuto abbastanza? L’immagine della Signora Agricoltura tutta accaldata che balla la tarantella mentre gli insetti tropicali la punzecchiano e il mare avanza minaccioso non ti ha ancora convinto? Immagina allora di avere la febbre a 37: se sale di 5 gradi, fino a 42, allora morirai. Ti è chiaro adesso?
Qualche riflessione “a caldo”
La reazione istintiva è quella di pensare che la febbre a 42 ce l’avesse chi ha scritto il pezzo.
- Di autorevoli istituti che hanno sbagliato previsioni in fatto di global warming sono piene le fosse. Era molto autorevole, del resto, anche il 98% degli istituti di statistica che prevedevano la vittoria a mani basse di Hillary Clinton. Autorevoli fino a prova contraria.
- Il concetto di “media climatica” di cui si parla nell’articolo implica anche che su vastissime aree del Globo la temperatura aumenterebbe con notevole beneficio della qualità della vita umana.
- In generale le affermazioni non appaiono supportate da nulla, a partire dalla suggestione del tutto risibile che una anomalia termica puntuale di 10 gradi sia riconducibile nella sua totalità ad un non meglio precisato Global Warming di 2 gradi.
- Gli effetti catastrofici descritti nell’articolo non trovano nessun riscontro fattuale in quello che è accaduto finora al cospetto dell’aumento termico registrato negli ultimi decenni (dell’ordine di alcuni decimi di grado). Semmai peccano di originalità, ricordando troppo da vicino le 10 piaghe d’Egitto e riducendo Mosè al rango di umile artigiano di un volenteroso catastrofismo di bottega.
Aspetta un attimo…
A pensarci bene, però, mi sa che proprio che ha ragione La Stampa sulla questione della febbre. L’incremento della temperatura media terrestre, infatti, si può quantificare in circa 0.5 gradi negli ultimi 40 anni per i data-set terrestri (HadCRUT). Quanto ai dati satellitari, giusto per fare un esempio, UAH (autorevole istituto) parla di 0.2 gradi con riferimento al mese di Febbraio 2018.
In altre parole, partendo da una temperatura ipotetica di 36 gradi, il termometro adesso segna tra 36.2 e 36.5 gradi. Quindi la febbre non c’è, il malato è immaginario e la diagnosi è certa solo negli output di modelli che non ne hanno mai azzeccata una in passato. Forse sarebbe il caso che sui giornali si tornasse a parlare di qualcosa di più serio, magari di qualche problema reale del Signor Rossi.
I problemi sono altri
Il punto è proprio questo: a differenza di quanto si sostiene nell’articolo, la vita non è facile già adesso per tanti italiani, e non certo a causa del global warming ma perché la gente ha altri problemi. Problemi veri, rispetto agli allarmi lanciati di continuo dagli autorevoli megafoni del clima-catastrofismo: disoccupazione, precarietà, salari in calo, criminalità, austerità, decrescita, immigrazione, emigrazione e via dicendo.
Insomma, per rimanere sulla metafora medica, è come se una persona che non mangia da settimane andasse in ospedale per sentirsi fare la seguente diagnosi: “Il suo problema non è che pesa 40 kg, ma che oggi ha la febbre a 36.5 e fra 30 anni ce l’avrà a 42. Ma non si preoccupi, abbiamo la cura: deve respirare meno, così emette meno CO2 e la sua temperatura scenderà come da nostri modelli”.
La cura funziona: il paziente è morto.
Lunga vita al Global Warming.