Di Irene Rossi 2020-2022 – 26 Marzo 2023

Variazioni climatiche sul nostro pianeta sono sempre avvenute, possono essere descritte in cicli; corti, (decennali), medi (centenari), lunghi (millenari) ecc. Ma come il sistema solare può influenzare il clima sul nostro pianeta? Tramite l’interazione diretta con la nostra stella, che a sua volta interagisce con il nostro pianeta. L’interazione tra Sole e Terra avviene tramite il Vento Solare.

Quest’ultimo interagisce sia direttamente con l’atmosfera terrestre, sia indirettamente sulle correnti oceaniche globali, tramite le variazioni del LOD terrestre. Abbiamo visto nel precedente studio, come la bassa attività solare sia collegata ad un aumento del momento angolare terrestre, cioè un LOD (lunghezza del giorno) più corto, causa forza centripeta solare a trazione elettromagnetica. Qui potremmo anche aggiungervi un possibile influsso diretto al nucleo terrestre, che potrebbe indurre il nostro pianeta a ruotare più velocemente. Molti studi, infatti, stanno evidenziando un collegamento del LOD alle oscillazioni interne del nucleo terrestre.

L’apparente ‘varianza’ di G e la lunghezza del giorno | AstronomicaMens (wordpress.com)

https://www.science.org/doi/10.1126/sciadv.abm9916

Le forze in campo per l’interazione Sole/Terra, sono: l’ultravioletto, la forza centrifuga e di Coriolis. 

Il raffreddamento stratosferico dagli anni 60 fino ad oggi è dovuto ad una minore radiazione ultravioletta irradiata dal Sole. Minore la radiazione ultravioletta equivale ad un processo di Chapman depotenziato. Perché quando l’UVC interagisce con l’ossigeno molecolare, (scindendolo) la rottura del legame fa sì che l’energia (calore) venga rilasciata. L’ossigeno atomico è molto reattivo e si va ad unire dando vita alla formazione di ozono, che sarà concentrato nella parte bassa stratosferica. Circa il 90% di tutto l’ozono globale si trova nella parte bassa stratosferica, il restante si trova in troposfera. L’ozono, a sua volta verrà scisso dall’ultravioletto B, riportando l’ossigeno molecolare. Anche questo processo genera calore, ma in minore quantità. Dato che per scindere l’ossigeno molecolare c’è bisogno di più energia (UVC) il gradiente termico verticale della stratosfera sarà positivo, a differenza di quello troposferico. 

Per il secondo principio della termodinamica il calore può fuoriuscire spontaneamente solo da un corpo più caldo verso un corpo più freddo. Quindi, la parte alta della stratosfera, riscalderà sia la mesosfera che la parte bassa della stratosfera. Per questo motivo non è solo la fotodissociazione dell’ozono a riscaldare la stratosfera, ma quella dell’ossigeno molecolare. 

Nell’immagine sopra è evidente il gradiente termico atmosferico e la localizzazione dello strato di ozono. Una temperatura di -55 gradi Celsius non può cedere calore ad una temperatura di 0 gradi Celsius, questo perché non ha il potere di farlo, essendo una zona più fredda.

Nell’immagine sopra, viene mostrato come il raffreddamento stratosferico parte dagli anni 60 arrivando ai giorni nostri, e segua la variazione dei cicli solari, e quindi del Solar Flux (si devono togliere dal trend gli impulsi dovuti alle potenti eruzioni vulcaniche esplosive che hanno interagito con l’ozono, amplificando la sua distruzione producendo maggiore calore). 

https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1029/93JD02594

Consideriamo, inoltre, che la variazione delle macchie solari è direttamente relazionata al Solar Flux, un indice solare che si lega ai raggi ultravioletti.

Da notare inoltre, che il raffreddamento stratosferico è maggiore nella parte alta della stratosfera rispetto a quella inferiore, segno di minor radiazione UVC entrante. Quindi, avremo un minore riscaldamento stratosferico complessivo e una minore produzione di ozono. Logicamente il raffreddamento stratosferico influenzerà anche la Mesosfera, portando una contrazione di tutta la colonna atmosferica. 

L’anomalia della temperatura stratosferica non è uguale per tutta l’atmosfera globale, ma ne avremo una più marcata in zona polare.

Ciò porta ad un maggiore gradiente termico tra equatore/poli e suolo/stratosfera. Questo non farà altro che dare un maggiore impulso alle onde planetarie che trasferiscono calore dall’equatore ai poli, in quanto, il calore, essendo una forza vettoriale, sarà spinto con maggiore impulso. Considerando che il Jet Stream che collega le celle atmosferiche, è posizionato tra Troposfera e Stratosfera, sarà maggiormente sollecitato dalla spinta verso i poli dai flussi di calore (trasporto della massa per convezione). Siccome l’atmosfera è un ambiente saturo, lo spostamento di massa verso i poli comporta una risposta di uguale intensità (3a legge di Newton) dai poli verso l’equatore. Quindi avremo uno spostamento di massa (fredda) dai poli all’equatore, in risposta allo spostamento di massa (calda) dall’equatore ai poli. Queste forzanti sono la causa dell’oscillazione del Jet Stream e della meridianizzazione degli scambi atmosferici, tipici dei grandi minimi solari che portano ai raffreddamenti stratosferici importanti. 

Abbiamo parlato di come l’attività solare possa interagire con la stratosfera, amplificando il gradiente termico orizzontale stratosferico, tra poli ed equatore. Se osserviamo i grafici possiamo notare  anche come il ciclo solare 25 stia interagendo diversamente con la stratosfera tropicale. 

In questo grafico possiamo vedere i riscaldamenti stratosferici indotti dai massimi solari. Vediamo anche come le eruzioni dei due vulcani El Chichon e Pinatubo abbiano amplificato l’effetto radiativo.

Qui, invece, vediamo che la Stratosfera polare boreale non si riscalda, ma rimane con valori bassi. Sappiamo che queste eruzioni hanno inasprito gli inverni boreali, per cui il ciclo solare 25 sta forzando lo stesso schema. Logicamente un gradiente orizzontale maggiore fa sì che il calore equatoriale penetri con più forza in sede polare, per cui avremo l’indebolimento del vortice polare stratosferico.  Sappiamo inoltre che un vortice polare stratosferico in difficoltà non riesce a trattenere i lobi freddi alle alte latitudini, anzi, le onde planetarie (pacifica ed atlantica) verranno alimentate, quindi saranno più intrusive. Se volessimo osservare più nel dettaglio, potremo vedere che in sede tropicale il raffreddamento troposferico coincide con il riscaldamento stratosferico. 

Secondo le mie osservazioni, una forzatura verso La Niña avrà un minore processo evaporativo indotto. Quindi si avrà una diminuzione del gradiente termico verticale equatoriale in Troposfera. Ciò porta ad una forzatura minore di calore verso la Tropopausa, quindi, una minore forzatura di vapore in Stratosfera. Minore sarà la forzatura in Stratosfera, e minore sarà la formazione di nubi stratosferiche, quindi, verrà meno il fattore determinante per la distruzione dell’ozono stratosferico. Di conseguenza avremo più ozono stratosferico in sede tropicale che collegato ad una maggiore intensità radiativa ultravioletta solare (ciclo 25), si avrà anche un processo di Chapman potenziato, che riscalderà la Stratosfera. Ecco perché la Troposfera si raffredda, causa la Niña, mentre viene favorito un riscaldamento stratosferico, dal processo di Chapman. 

Nei grafici sopra vengono confrontati l’indice ENSO (El Nino Southern Oscillation) e le anomalie dello strato di ozono in fascia tropicale. Con le frecce gialle e verdi si vedono gli impulsi negativi dovuti a El Niño (ENSO+). Con le frecce di colore celeste sono indicati i massimi solari. La CO2 è in aumento costante, quindi non è lei che raffredda la Stratosfera e riscalda la Troposfera trattenendo calore.

La scienza afferma che la CO2 può ostacolare il normale flusso radiativo in uscita dalla Terra, per cui far riscaldare la Troposfera e far raffreddare la Stratosfera, in quanto nella prima fa accumulare, nella seconda, ne fa pervenire di meno. Perché con La Niña la Stratosfera non si raffredda ancora di più? In fin dei conti viene a mancare il contributo evaporativo per tutto l’intero gradiente termico atmosferico, in quanto la Terra rilascia meno calore di base. A questo punto, se la Stratosfera non ne risente, vuol dire che è condizionata direttamente dall’attività solare e non dalla Troposfera

Si prende come punto di riferimento la fascia atmosferica equatoriale, in quanto è in questa fascia che viene generata la maggior parte del calore nel nostro pianeta, con la trasformazione dell’energia elettromagnetica solare. Ricordiamo che il calore trasporta massa ed è il motore principale di tutta l’atmosfera globale. Un’altra interazione dell’attività solare, con la Stratosfera la troviamo ai poli. Infatti, i vortici polari stratosferici sono influenzati dal raffreddamento stratosferico generale (1990/2022) che li sta rendendo più profondi e freddi, tuttavia i flares con espulsioni di massa coronale sono la principale fonte di warming stratosferici.

Come si vede dalle immagini ogni picco nell’attività solare produce un warming stratosferico.

Nel primo grafico, i quattro picchi dell’indice AP e picchi del flusso solare, in concomitanza con la riduzione dell’ozono stratosferico polare australe, hanno causato un ingresso di maggiore radiazione ultravioletta B, apportando maggiore ingresso di energia, quindi di calore al comparto antartico che non riuscirà a riassorbire favorendo le successive anomalie estensive nella calotta antartica.

Il raffreddamento stratosferico, infatti, è la causa principale dell’anomalia artica e siberiana e del riscaldamento dell’Oceano Antartico.

Come si può vedere dalle immagini sopra, un vortice polare boreale forzato ad un raffreddamento prolungato, porta ad una maggiore riduzione nello strato di ozono stratosferico, quindi, ad un maggiore ingresso di radiazione UVB che immetterà nel sistema artico energia che non potendo essere dissipata, andrà a favorire anomalie positive nella temperatura troposferica specialmente durante il periodo estivo, con una conseguente anomalia estensiva della calotta polare. Notate come la temperatura del vortice polare boreale stia diventando simile a quella australe, questo dovrebbe ai più fare riflettere. Notate inoltre come l’ENSO sia collegato all’amplificazione del processo distruttivo dell’ozono stratosferico polare, con una forzatura evaporativa.

Ciò viene dimostrato anche dal grafico estensivo sopra, infatti nel 2020 il maggiore processo distruttivo di ozono ha favorito una marcata anomalia estensiva artica, mentre nel 2021 l’anomalia è stata vistosamente minore.

Come si può vedere in quest’altro grafico, dal 2000 con il massimo raffreddamento stratosferico, l’anomalia estensiva artica si è amplificata maggiormente nel periodo estivo. Quindi, pure in forte deficit l’estensione invernale riesce a recuperare, ma qualcosa (buco dell’ozono) permette a più calore di forzare la fusione estiva. L’effetto termico del buco dell’ozono si aggiunge a quello del riscaldamento oceanico del Nord Atlantico (AMO+). Ci sono inoltre studi che evidenziano maggiore sensibilità agli UVB in sede artica negli ultimi 30 anni. 

https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1029/95GL02825

https://ui.adsabs.harvard.edu/abs/2015EGUGA..17..304K/abstract

Nel comparto australe invece è l’oceano che assorbe il calore che entra in più grazie ai raggi UVB. Questo lo si può vedere dal riscaldamento dell’Oceano Antartico dagli anni 2000. Si noti pure come un picco nel raffreddamento del 2002 coincida perfettamente con la minore estensione e profondità del buco dell’ozono.

Possiamo vedere anche come il riscaldamento dell’Oceano Antartico non è solo superficiale, ma che arriva in profondità. Ciò significa che qualcosa di più energetico (UVB) sta interagendo con l’acqua. La differenza é, che mentre il calore ricevuto al suolo nel comparto eurasiatico amplifica la fusione della calotta polare boreale, in quella australe il potere radiativo viene assorbito dalla convezione interna oceanica.

Un altro fattore è che se mettiamo a confronto le variazioni della temperatura oceanica antartica globale, noteremo un riscaldamento da 0/700 m di profondità e un raffreddamento da 0/100 m, ciò potrebbe essere attribuito ad un maggiore processo di fusione delle calotte e della neve superficiale.

Fino a questo punto abbiamo parlato di come il raffreddamento stratosferico interagisce con il vortice polare stratosferico e con il Jet Stream.

Adesso parleremo di come il raffreddamento stratosferico fa riscaldare la Troposfera. Le forzanti in campo sono sempre l’ultravioletto B e l’ozono. Innanzitutto, come si vede, la troposfera artica è quella che ne risente maggiormente, perché il fatto stesso che il mare sia circondato da continenti (negativo nell’Antartide) certo non lo aiuta, in quanto il calore che il suolo riceve dal maggiore ingresso di raggi UVB verrà ceduto quasi totalmente per conduzione all’atmosfera sovrastante e verrà successivamente convogliato completamente verso nord seguendo il gradiente termico orizzontale. Mentre in Antartide la gran parte sarà assorbita dalla convezione interna oceanica. 

Come possiamo notare, dai grafici sotto, dalla fine degli anni 90 abbiamo avuto una marcata diminuzione della copertura nuvolosa, maggiore nell’emisfero sud. Questa mancata copertura fa sì che una maggiore radiazione entrante interagisca con la superficie terrestre/oceanica, le quali cederanno calore, a loro volta per conduzione alla troposfera. Ciò creerà un maggiore gradiente termico verticale, già amplificato dal raffreddamento stratosferico.

Ma perché l’albedo diminuisce? E perché maggiormente nell’emisfero australe?

La riduzione dell’albedo è favorita dal maggiore ingresso di radiazione ultravioletta B. Infatti in Stratosfera il vapore acqueo viene dissociano dai fotoni degli ultravioletti, questo il motivo del perché ne è priva a differenza della Troposfera.

Nel grafico sopra viene mostrata l’anomalia nella copertura nuvolosa nell’emisfero australe.

Nel grafico sopra viene mostrata l’anomalia nella copertura nuvolosa nell’emisfero boreale. Come possiamo vedere l’anomalia maggiore si avrà in sede polare.

Nell’emisfero australe sarà maggiore a causa delle enormi dimensioni del buco dell’ozono.

Nel grafico sopra, invece viene mostrata l’anomalia nel settore tropicale. Qui vediamo che la riduzione di albedo viene forzata dall’ENSO (El Nino Southern Oscillation) che è ben visibile nell’effetto di El Nino del 1997/98 e quello del 2014/15 (frecce nere).

Progetto ISPPC (international satellite cloud climatology project) 1983/2010. 

Come da studi relativi alla variazione dell’albedo, notiamo una relazione diretta alla radiazione cosmica entrante, però vediamo anche che il trend si discosta con La Niña (freccia blu) e di El Niño (frecce verdi). “La Niña porta ad una maggiore % di albedo globale mentre El Niño ad una minore. Forse le cause sono da attribuire al fatto che El Niño forza il processo di condensazione più nella parte alta della Troposfera in quanto aumenta la temperatura di tutta la colonna atmosferica troposferica (maggiore processo evaporativo). Per cui il vapore viene espulso in Stratosfera dove verrà dissociato dagli ultravioletti. Inoltre, perché il vapore che verrà trasportato dall’equatore ai poli, verrà dissociato dalla maggiore radiazione UVB entrante. Ciò lo dimostra anche il grafico relativo allo studio di Miskolczi.

Nel grafico viene evidenziato un calo marcato dell’umidità a 9 km (300mb), perché è la quota del limite della Tropopausa in sede polare. Questo è un altro grafico che mostra l’influenza di El Niño nella Stratosfera.

(Solomon 2010)

In questo studio viene mostrata la forzatura del vapore, in Stratosfera. (El Niño/ENSO+). Ricordiamo che più vapore in Stratosfera equivale a maggiore formazione di nubi stratosferiche, le quali sono un elemento essenziale per la distruzione dell’ozono stratosferico. Si vede nettamente come La Niña abbia l’effetto opposto. (2000/2010). Possiamo così vedere come i buchi dell’ozono stratosferico polare e gli eventi ENSO positivi portino ad un aumento della temperatura in Troposfera, aumento dovuto ad un maggiore processo di evaporazione e ad una diminuzione di albedo.

Come vediamo dal grafico sopra, il riscaldamento oceanico superficiale è un’evidenza della forzatura radiativa entrante.

Sopra, la riduzione dello strato di ozono precede la riduzione dell’albedo, possiamo vederlo benissimo dall’interazione dell’attività esplosiva del vulcano Pinatubo del 1991 (freccia gialla), con un impulso maggiore alla distruzione di ozono, riscaldamento stratosferico e maggiore riduzione di albedo.

https://agupubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1029/93JD02594

In questa foto possiamo notare come gli eventi di El Niño siano collegati ad un maggiore processo evaporativo, questo avviene perché la temperatura superficiale oceanica globale tende a riscaldarsi.

Ma da cosa sono forzati gli indici oceanici?

Essi, sono modulati dalle variazioni del LOD terrestre. La Terra non mantiene la stessa velocità di rotazione, questa può variare nel tempo. Gli impulsi possono essere di diversi gradi. Da quelli più forti che modulano i periodi glaciali o le PEG, a quelli che modulano i cicli oceanici, a quelli prodotti dalla fase lunare. Di sicuro c’è che quando la Terra si allontana dal Sole (afelio) ruota su se stessa ad una velocità maggiore che al perielio. La circolazione oceanica viene forzata con la centrifuga equatoriale in riferimento della forza di Coriolis.

La forza gravitazionale è costante perché è in funzione al centro di massa terrestre, mentre la centrifuga e la forza di Coriolis non lo è. Queste ultime vanno in funzione della velocità di rotazione terrestre e hanno un impatto su ciò che non è solidale alla Terra (acqua, atmosfera).

La Niña ne è la prova.

La contrazione della cella di Hadley ne è un’altra. (Studio di Isaac Held degli anni 80/90).

In principio parleremo della Niña/Niño.

Se osserviamo sotto la superficie oceanica vedremo un maggiore flusso in risalita di acque più fredde dal basso verso la superficie. Se consideriamo un impulso più forte nella rotazione terrestre vedremo che la maggiore forza centrifuga farà risalire le acque fredde verso la superficie. La forza centrifuga ha un vettore espulsivo, abbiamo pure un vettore orizzontale da ovest verso est (moto rotatorio), il rapporto tra questi vettori sarà una spinta obliqua di risalita verso est. Siccome il flusso equatoriale in risalita troverà nella piattaforma continentale americana un ostacolo, tenderà alla risalita e a una espansione alle più alte latitudini. Si vede come lo schema atmosferico ed oceanico siano simili, modulato dalle stesse forze.

Questi flussi freddi in risalita in superficie ad occidente della piattaforma americana andranno a modificare i geopotenziali della zona portando un rafforzamento dell’alta pressione, in quanto lo scambio di calore tra oceano e atmosfera diminuisce. Ciò favorirà una bassa pressione in Australia. La modulazione dell’alta e bassa pressione non farà altro che modificare la circolazione atmosferica superficiale, (venti alisei) verso ovest. Quindi avremo una ulteriore forzatura con correnti di deriva dall’America verso l’Australia.

Da considerare come l’alta pressione in sede pacifica alteri il Jet Stream sub tropicale per cui l’alloggiamento dell’alta pressione Aleutina, quindi di conseguenza il Jet Stream polare. Lo spostamento dell’alta pressione Aleutina verso il Canada e l’Alaska favorirà la fase della PDO negativa. Ecco perché l’ENSO è collegata alla PDO. 

La forza centrifuga, inoltre, potenzia la risalita delle correnti oceaniche globali forzando il tipico schema La Nina.

Lo IOD (dipolo indiano) segue lo stesso impulso dell’ENSO, infatti il dipolo positivo indiano è in relazione alla Niña. Mentre la fase negativa si relaziona con El Niño. 

Sempre un impulso accelerato o decelerato, sempre impulso di risalita delle acque oceaniche. 

Stesso schema del Pacifico.

In questo grafico si mettono in relazione ENSO, IOD e LOD.

Notiamo come gli impulsi di accelerazione terrestre forzino La Niña e lo IOD positivo.

Adesso parliamo dell’indice AMO (Atlantic Multidecadal Oscillation).

Questo indice riguarda il riscaldamento o raffreddamento del Nord Atlantico. Esso va di solito di fase opposta alla PDO, quindi avremo una AMO positiva che si lega ad una PDO negativa, che a sua volta si lega ad un ENSO negativo. Tranne in alcuni casi, dove gli indici si sincronizzano di fase, dando origine a periodi di riscaldamento o di raffreddamento atmosferico globale. Vediamo infatti come la fase fredda 1910/1925 e del 1963/1980 e la fase calda del 1925/1945 e del 1995/2000 abbiano influenzato le temperature atmosferiche e l’estensione dei ghiacci artici.

INDICEPOSITIVONEGATIVOPOSITIVONEGATIVOPOSITIVO
AMO1850/19001900/19251925/19631963/19951995/oggi
INDICENEGATIVOPOSITIVONEGATIVOPOSITIVONEGATIVOPOSITIVONEGATIVO
PDO1850/19001900/19101910/19271927/19451945/19801980/20002000/oggi
AMO+/PDO-AMO-/PDO+AMO-/PDO-AMO+/PDO –AMO+/PDO-AMO-/PDO-AMO-/PDO+AMO+/PDO+AMO+/PDO-
1850/19001900/19101910/19251925/19451945/19631963/19801980/19951995/20002000/OGGI

 Un LOD più corto porta ad una forzatura dell’AMO positiva, di un’ENSO negativo e di uno IOD positivo. Questa è la combinazione tipica dei grandi minimi solari.

Nel grafico sopra notiamo come l’AMO sarebbe dovuto virare nel 2020 in fase negativa, seguendo Saturno/Giove, invece è stato spinto al positivo dal disturbo indotto da Nettuno/Urano. Un LOD più lungo sopra i 2 m/s forza un raffreddamento, mentre sotto ne viene forzato un riscaldamento. Questo si vede sia nel ciclo dell’AMO, sia nel contenuto di calore oceanico da 0/700m.

LOD PIÙ LUNGO                                LOD PIÙ CORTO

La freccia gialla nella cartina sopra, indica la direzione del flusso dell’acqua calda veicolata dalla Corrente del Golfo, quindi, si può vedere come l’atlanticizzazione dell’Artico avviene quando il flusso caldo è spinto con più forza verso nord, cioè quando la forza di Coriolis è di minore intensità. (LOD più lungo). Viceversa, quando il LOD è più corto (rotazione più veloce) a questo punto il flusso caldo è costretto a virare più verso la Spagna, riscaldando il ramo di Gibilterra. Ciò produce la famosa falla barica iberica. Si vede pure come il LOD più corto faccia confluire meno acqua calda verso la corrente norvegese, grazie al depotenziamento del ramo Nord Atlantico.

Nell’immagine sopra si vedono gli impulsi in risalita della corrente termoalina, si vede che nel Pacifico e nell’Oceano Indiano la spinta verso nord riguarda il flusso freddo, mentre nel Nord Atlantico riguarda il flusso caldo. Ecco perché quando il Pacifico centrale (La Niña) si raffredda, il Nord Atlantico si riscalda, (AMO) e viceversa, L’Oceano Indiano segue il Pacifico. Le correnti del Golfo e della corrente di Kuroshio, quando il LOD diminuisce tendono a riscaldarsi, questo il motivo del perché avremo un’AMO+ e una PDO-.

Perché la Corrente del Golfo riscalda tutta la parte centro sud del Nord Atlantico mentre la giapponese forzando geopotenziali bassi, favorirà una PDO nella fase negativa, con tutte le rispettive forzature nella circolazione atmosferica: ondulazione del Jet Stream polare, falla iberica e alta pressione scandinava/siberiana, quest’ultima potenziata dalla minore portata del ramo Nord Atlantico della Corrente del Golfo come si vede anche dallo studio di Morner del 2018. 

Questo è il tipico schema che caratterizza la circolazione nei grandi minimi. Nei minimi di Maunder e di Dalton il LOD era fortemente negativo rispetto al minimo di Eddy. 

https://earthobservatory.nasa.gov/images/7122/chilly-temperatures-during-the-maunder-minimum

Nell’immagine sopra possiamo notare come il LOD sotto i 2m/s forzi l’indice AMO in fase positiva, mentre l’AMO (linea nera) forzi in forma negativa. 

Questo il motivo del perché nei minimi di Maunder e Dalton il riscaldamento del Nord Atlantico era evidente come quello della Groenlandia, del Mare di Barents e dell’Alaska. 

Stesso input che si sta osservando oggi, stesso schema imposto. La falla iberica ed il riscaldamento della fascia mediterranea sono un altro effetto della forzatura AMO+/LOD- 2m/s.

https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0277379115301335

Questo è il contenuto di calore del ramo di Gibilterra, Mediterraneo occidentale, orientale e Mar Nero.

Seguono tutti il ciclo dell’AMO, quindi, le variazioni del LOD terrestre. La falla iberica è quella più coinvolta direttamente, dato che fa parte del ramo di Gibilterra della Corrente del Golfo, segue il Mediterraneo occidentale che poi segue l’impulso di riscaldamento con un ritardo di circa 10 anni.

Anche il Mediterraneo orientale segue l’impulso, il Mar Nero fa lo stesso con un impulso più marcato, quest’ultimo potrebbe essere influenzato sia dall’anomalia siberiana che modifica i ristagni di calore all’interno del continente euroasiatico, sia dallo IOD positivo. Secondo il mio pensiero nel minimo di Maunder, quando il LOD era più marcato nella forma negativa, il ramo sud della Corrente del Golfo ha generato un riscaldamento delle acque iberiche e mediterranee occidentali, maggiore rispetto ad oggi, spingendo i flussi siberiani a passare per la Francia e rientrare dal Rodano o direttamente dall’Adriatico, (NAO neutro o negativo), in quanto il riscaldamento del comparto iberico contrastava la bassa islandese, sopraffacendo anche il richiamo del Mar Nero che tendeva a convogliare gli impulsi freddi, con basse pressioni nel Mediterraneo orientale verso la Grecia e la Turchia, come sta avvenendo in questi anni.

Ricordiamoci  pure che un LOD negativo porta alla forzatura Niña, quindi molto freddo sul comparto siberiano.

In questo grafico invece si vede come il ramo del Nord Atlantico si stia raffreddando.

Sappiamo inoltre che L’atlanticizzazione dell’Artico attraverso lo Stretto di Fram avviene in fase di AMO-, perché il flusso verso l’Artico da parte della Corrente del Golfo è maggiore (meno forza di Coriolis).

https://www.scienceunderattack.com/blog/2021/12/27/sudden-changes-in-ocean-currents-warmed-arctic-cooled-antarctic-in-past-93

In uno studio che trovate nel link sopra (vedi grafico), si nota come l’atlanticizzazione dell’Artico sia influenzata da un LOD più lungo. Infatti dal 1900 ha iniziato ad amplificarsi, proprio quando la Terra ha sperimentato un forte rallentamento. Un LOD più lungo favorisce l’ingresso di acque calde atlantiche nell’Artico, influenzando la Corrente Subpolare e l’estensione della calotta artica stessa, di conseguenza i geopotenziali relativi (Dipolo Artico).

Un LOD fortemente negativo tipico dei minimi di Dalton e Maunder potrebbe aver ridotto l’atlanticizzazione dell’Artico, nonostante ciò, l’estensione artica non è stata mai in forma durante i grandi minimi solari, forse perché forza un’AMO++ e una riduzione dell’ozono stratosferico polare.

I grafici sopra ci mostrano come i mari intorno alla Groenlandia si stanno riscaldando, seguendo il ciclo AMO+. Questa è una causa all’anomalia del suo bilancio di massa, infatti il deficit è prevalentemente costiero.

Da non escludere inoltre un input geotermico. 

Infatti l’anomalia del bilancio di massa antartico è forzato dall’attività geotermica.

L’anomalia negativa del bilancio di massa di ghiaccio è concentrata nella zona dove sono stati scoperti vulcani e un’attività geotermica.

Da osservare come il bilancio di massa si leghi, positivamente all’anomalia dell’Oceano Antartico, infatti l’oceano più caldo genera geopotenziali bassi (basse pressioni), che attraggono sia flussi freddi dall’interno del continente, sia flussi caldo/umidi, provenienti dalle latitudini tropicali, per cui avremo maggiori precipitazioni nevose che apporteranno un bilancio di massa positivo.

Ciò non avviene in Groenlandia, perché in quella zona gli impulsi caldi dominano quelli freddi interni, causa minore dimensione estensiva rispetto all’Antartide ed alla mancanza di una circumpolare esterna come quella antartica. 

https://www.pnas.org/doi/full/10.1073/pnas.1705595114

Nello stidio poco sopra vengono mostrate le forzanti della riduzione di ozono (in questo caso provocate dall’eruzione del vulcano Takahe), come input principale nel passato della fusione della calotta antartica. Quindi, si dimostra che maggiori saranno le anomalie dell’ozono stratosferico polare, più le calotte ne risentiranno. L’Antartico, essendo circondato dalla Circumpolare Antartica, e grazie al fatto che è un grande continente, beneficia di un maggiore condizionamento alle basse temperature, per cui avrà processi di fusione più contenuti e bilanciati, dalle basse temperature atmosferiche superficiali. Cosa che non avviene nell’Artico. Anche il Mare Artico è sensibile all’attività solare, infatti si osservano oscillazioni decennali con impulsi che seguono i cicli solari di Schwabe (11anni).

Dalle due immagini sopra, possiamo notare gli impulsi decennali e il riscaldamento dal 2000. In ogni minimo solare il Mare Artico si raffredda, per poi riscaldarsi al massimo del ciclo. 

Le ipotesi possono essere due:

1) segue l’irraggiamento solare.

2) se nel minimo solare, il maggiore raffreddamento stratosferico porta alla distruzione di ozono, quindi un riscaldamento dato dalla radiazione UVB, in questo caso avremo la temperatura del Mare Artico che in seguito si riscalderà. Dopo il minimo si riscalda, dopo il massimo si raffredda. 

Così si spiegherebbe anche il perché dal 2000, quando il raffreddamento stratosferico si è approfondito (maggiore anomalia nell’ozono), la temperatura di base dell’oceano è aumentata. 

In questo grafico vediamo come i cicli solari bassi riscaldano il Mare Artico, mentre cicli solari più forti lo raffreddano. Si vede il trend di riscaldamento del ciclo 20 e del 22-23-24, questo perché un Sole più attivo depotenzia la struttura del vortice polare stratosferico, mentre un Sole più debole lo porta a raggiungere temperature al di sotto dei -80 gradi Celsius, necessari per innescare il processo distruttivo dell’ozono.

Ricapitolando, il raffreddamento stratosferico e il LOD fortemente negativo portano al raffreddamento sul nostro pianeta. Ciò è avvenuto anche durante i periodi glaciali. 

Con la maggiore eccentricità dell’orbita terrestre, essa si allontana dal suo fuoco (Sole), portando un LOD fortemente negativo e una radiazione solare più debole (maggiore distanza dalla fonte). A questo punto avremo una forte meridionalizzazione degli scambi circolatori atmosferici, causa maggiore gradiente termico orizzontale tra equatore e poli (come sta avvenendo oggi) e un forte raffreddamento degli oceani dall’interno (ENSO-). La Niña, porta ad un maggiore albedo e un minore processo di evaporazione, quindi, un raffreddamento globale. 

Ciò si vede benissimo anche dai carotaggi eseguiti nel progetto EPICA 4 in Antartide.

Le polveri invece seguono le variazioni della temperatura della CO2 e della CH4 in maniera inversa. Cioè aumentano quando la temperatura scende e viceversa. 

Lo schema è sempre quello già spiegato, la bassa attività solare crea il raffreddamento stratosferico maggiore ai poli, minore all’equatore, conseguenza di una meridionalizzazione degli scambi atmosferici, le polveri (pollini, ceneri, sabbia, sale) che vengono prodotti in sede equatoriale, verranno trasportati tramite il processo di evaporazione, dalla circolazione atmosferica ai poli. 

Come sta avvenendo oggi in Groenlandia e Alaska penetrando flussi caldi umidi provenienti dalle zone più equatoriali. Il fatto che il LOD- forzi La Niña vuol dire che dopo un riscaldamento (come quello attuale caratterizzato da El Niño) segue una forte fase di raffreddamento interno oceanico che produce un minore processo di evaporazione e un maggiore albedo. A questo punto il riscaldamento sarà dominato da un lungo raffreddamento atmosferico.

Perché la CO2 è un effetto e non la causa del riscaldamento?

Perché gli oceani con le superfici più calde assorbono meno CO2, perché nei fondali oceanici c’è la presenza di molta CO2 con caratteristiche chimiche simili a quelle prodotte dalla combustione dei combustibili fossili.

Perché l’Oceano assorbe CO2 tramite due processi, uno meccanico, uno biologico. 

Quello meccanico riguarda gli sprofondamenti abissali sotto le calotte polari… 

Questi sono i veri propulsori della circolazione termoalina, in quanto con il congelamento dell’acqua marina, il sale che verrà espulso dal processo di congelamento farà diventare più densa l’acqua sottostante che divenendo più pesante sprofonderà, andando ad innescare una circolazione sub abissale. 

Il LOD e l’estensione delle calotte polari sono molto importanti influenzando il processo meccanico, mentre il processo biologico è dato dal fitoplancton. Esso ha garantito la nascita della nostra vita sul pianeta, con l’assorbimento di CO2 e la produzione di ossigeno. 

La fioritura del fitoplancton è influenzata da 2 fattori:

1) I nutrienti nell’acqua.

2) la radiazione dei raggi UVA. 

I nutrienti si trovano nelle acque degli oceani artici freddi, mentre la radiazione UVA si trova nelle zone equatoriali. 

Adesso, in questo periodo storico attuale troviamo: 

L’Oceano Antartico ricco di nutrienti che si sta riscaldando a causa della radiazione UVB. 

Ricordiamo che le piante amano i raggi UVA, i raggi UVB sono troppo forti. Di conseguenza il fitoplancton sta subendo impulsi radiativi eccessivi, che alterano il suo processo vitale nei mari polari. Nella zona equatoriale, dove è minore l’effetto degli UVB, invece, la fioritura è compromessa dalla forzatura di El Niño in quanto sta riscaldando la superficie oceanica rendendo gli oceani troppo caldi, quindi poveri di nutrienti. Questi meccanismi insieme faranno sì che venga assorbita meno CO2 dal sistema globale, questo il motivo del perché quando aumentano le temperature aumenta anche la CO2.