Articolo di Guido Guidi
Data di pubblicazione: 25 Novembre 2015
Fonte originale: http://www.climatemonitor.it/?p=39542

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Quand’è che il tempo atmosferico è diventato patologico? Questa domanda apparentemente banale, ma invece oltremodo interessante, l’ho intercettata in un retweet di Roger Pielke Sr:

Se l’è posta in origine tal fabius maximus, blogger opinionista a 360 gradi che entra spesso nel dibattito climatico.

Innanzi tutto, cosa si intende per tempo patologico? Facciamo un esempio nel nostro piccolo. Dopo un paio di settimane buone di tempo assolutamente stabile e di conseguente ‘calma piatta’ sul nostro Paese, è arrivato domenica scorsa il primo affondo della stagione fredda. Niente di che in verità, una bella discesa di aria polare, che ha prontamente ricevuto un nome, Attila, per quelli a cui piacciono queste cose: rapida caduta della pressione atmosferica, venti impetuosi di libeccio prima e di maestrale poi, temperature in picchiata e prime spolverate di neve anche in Appennino. La fase più acuta è passata sulle regioni centrali nella notte tra sabato e domenica. Al mattino dopo, ovunque mi girassi fioccavano i commenti: un vento pazzesco, assurdo, mai visto etc etc. Del resto, subito dopo, sarebbe dovuto arrivare il ‘freddo polare’, ‘l’aria gelida’…si sarebbero dovute spalancare le porte dell’inverno, dopo una lunga, lunghissima stagione tra gli equinozi (che dura sei mesi da sempre) che è stata bollente ma raffreddata da bombe d’acqua, nel rispetto, ovviamente, della patologia.

Il vento pazzesco, assurdo, mai visto, è arrivato tra la tarda sera e la notte. Le stazioni dell’Aeroporto di Fiumicino, sulla costa, e di quello di Ciampino, appena nell’entroterra a sud di Roma, hanno registrato per 2/3 ore rispettivamente vento teso a circa 50 Kmh con raffiche a 80 Kmh la prima e a circa 40 Kmh con raffiche a 60 Kmh la seconda. Il libeccio, che arriva dal mare, ha chiaramente frenato per attrito. Un vento Forte, certamente, ma davvero niente di che. Eppure la percezione era unanime, assolutamente patologica. E così è per ogni pioggia che arriva, per ogni giornata calda o fredda, per ogni capriccio del tempo.

A larga scala, fuori cioè dal nostro orticello, non è che le cose vadano meglio. Abbiamo passato tutto l’anno scorso in attesa di un El Niño ‘mostruoso’, che si è spento prima di uscire dalla culla. Poi, quando la congiuntura stagionale si è fatta nuovamente favorevole, ecco l’annuncio di un El Niño ‘Godzilla’; che pure è arrivato, ma, diversamente dalle previsioni, non ha superato e non prevede di superare alcun record, se non quello dell’inchiostro consumato per commentarlo. Senza che nessuno facesse notare che El Niño, come la sua sorellina La Niña, sono eventi ciclici benché randomici, altalene del freddo e del caldo sulle sconfinate acque dell’Oceano Pacifico equatoriale che battono il ritmo delle sorti di quella porzione del mondo e, per indotto, anche di quasi tutto il resto del pianeta. Quando c’è El Niño, le zone altrimenti aride dell’America centrale e meridionale occidentale, sono a rischio alluvioni; quando c’è La Niña, le loro siccità si accentuano e il continente marittimo, l’Australia e l’India orientale vanno sott’acqua, con impatto anche sulle piogge monsoniche. Così va il clima, da qualche milione di anni. Ma ora no, ora è, appunto, patologico, da curare, da sfuggire o, se possibile, da migliorare, magari con un bell’accordo interplanetario.

L’OMM, massimo organismo mondiale in materia di meteo e clima, ha fatto sapere che questo El Niño sarà tra i più intensi degli ultimi 50 anni, con precedenti illustri in epoche non sospette, va bene, ma ora c’è il climate change e vai a capire cosa potrà capitare. Quello che capiterà, stando alle previsioni, è che anche questo evento, come praticamente tutti quelli che lo hanno preceduto, vedrà il suo picco a Natale o giù di lì (El Niño = bambinello, recita la storia) per poi precipitare nel dimenticatoio, non senza aver rilasciato in atmosfera abbastanza calore da fare del 2015 l’ennesimo anno caldo tra gli anni caldi, con molta naturalezza, ma perfettamente ad uso e consumo di chi vuol curare la patologia e si appresta a farlo nel prossimo dicembre alla Cop21 di Parigi, con o senza Godzilla.

Quindi i media ne commenteranno le malefatte, gli esperti alzeranno pomposamente le loro sopracciglia e tutti gli altri saranno lì ad attendere che la patologia ci termini tutti quanti, perché, in fondo, ce lo siamo meritato. Il tutto, sinistramente simile a ben altri e più importanti fatti che stanno mettendo a serio rischio, quelli sì, le sorti del mondo come lo conosciamo. A proposito, chissà se nei primi giorni di dicembre a Parigi a qualcuno verrà in mente che il problema più grosso che abbiamo non è la temperatura…