Osservazioni e previsioni, questo è il problema

Posted on 3 agosto 2015
Articolo di Guido Guidi

Fonte: Climatemonitor.it

 

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Se tutto il mondo ha il problema di avere a che fare con un clima che cambia, cosa sempre avvenuta con la quale però ora pare sia più difficile confrontarsi, la comunità scientifica che studia il clima ne ha un altro. Previsioni e osservazioni non vanno d’accordo. Posto che teoria vuole che il ‘sensore’ del cambiamento dovrebbe essere l’aumento della temperatura media superficiale del pianeta, il fatto che nei modelli climatici globali questa aumenti e, con riferimento agli ultimi quindici anni o giù di lì, nella realtà abbia smesso di aumentare, non depone granché a favore della comprensione del funzionamento del sistema.

Negli ultimi tempi, stante questa via via più evidente discrepanza, da un lato sono stati pubblicati molti studi che cercavano di spiegare le ragioni dello stop al global warming, trovando quasi sempre cause naturali giudicate comunque temporanee, dall’altro ne sono usciti alcuni che hanno ‘rivisitato’ le serie della temperatura osservata per meglio accordarla con le previsioni.

Ad esempio, circa un paio di anni fa, è uscito uno studio piuttosto controverso che ha tagliato una bella fetta di questa differenza tra realtà e simulazione rivedendo le temperature osservate dell’area artica, ovvero applicando ad esse delle tecniche di omogenizzazione che hanno il pregio non banale di produrre dati anche dove non ce ne sono e di farlo inoltre in accordo con le previsioni. Un autentico uovo di colombo che abbiamo a suo tempo commentato in questo post.

Oggi, il primo firmatario di quello studio, Kevin Cowtan, è in procinto di pubblicare un altro lavoro con il quale pare si possa tagliare via un altro terzo abbondante della differenza tra realtà e immaginazione. Il paper è in stampa, per cui pur avendo già ottenuto la pubblicazione, potrebbe subire qualche piccolo cambiamento; comunque titolo e abstract sono quelli sotto e sono disponibili a questo link:

Efficace comparazione tra modelli climatici e osservazioni con l’impiego di un mix di temperature riferite alla terraferma, all’aria e agli oceani.

Il livello di accordo tra le variazioni delle temperature superficiali osservate e simulate dai modelli è materia di preoccupazione sia scientifica che di policy. Mentre la Terra continua ad accumulare energia a causa di forcing radiativi antropogenici e di altra natura, la stima delle dell’evoluzione recente delle temperature cade nell’estremo inferiore delle proiezioni dei modelli climatici. Le temperature medie globali delle simulazioni climatiche sono tipicamente calcolate utilizzando le temperature dell’aria superficiale, mentre le corrispondenti osservazioni sono basate su di un mix di temperature riferite sia all’aria che alla superficie degli oceani. Questo lavoro quantifica un bias sistematico nella comparazione modelli-osservazioni che nasce da ratei di riscaldamento differenti tra le temperature superficiali  del mare e quelle dell’aria sugli oceani. Un bias ulteriore sorge dal trattamento delle temperature nelle regioni dove i confini del ghiaccio marino sono cambiati. L’applicazione della metodologia della serie storica dell’HadCRUT4 ai modelli climatici spiega un 38% della discrepanza di trend tra i modelli e le osservazioni nel periodo 1975-2014.

Il lavoro è naturalmente a pagamento, però l’autore ne fornisce una efficace descrizione sulle pagine del dipartimento universitario dal quale proviene.

Prima di proseguire, direi sia il caso di sottolineare che gli autori fanno riferimento, nel descrivere l’accumulo di energia da parte del pianeta, sia a forzanti antropiche che di altra natura. A meno che non si tratti di un refuso o di un mio errore di traduzione che vi pregherei di verificare, ciò significa che l’accumulo di energia e il derivante aumento delle temperature, ha anche origini non antropiche. Buono a sapersi, ma passiamo oltre.

In pratica, piuttosto che estrarre dai modelli il dato riferito alla temperatura dell’aria, hanno prelevato dati previsti riferiti all’aria e alla superficie degli oceani. Il dataset così generato riduce il rateo di riscaldamento prodotto dalle simulazioni, avvicinandolo in termini assoluti a quello osservato, sia per metodologia che per risultato. Tuttavia, se nei numeri la discrepanza diminuisce, nei fatti, guardando la figura messa a disposizione, anche in questo modo le simulazioni falliscono nel cogliere il cambiamento di passo (pausa, iato, chiamatelo come volete) che il trend delle temperature superficiali ha avuto nel passato recente. Infatti gli stessi autori ammettono che il bias compare solo recentemente. Ciò vuol dire che nelle simulazioni, il cui valore per la temperatura media si approssima meglio a quello osservato, mancano i meccanismi che lo hanno generato, ossia le dinamiche climatiche che hanno regolato la temperatura del pianeta negli ultimi anni a dispetto del forcing antropico incalzante.

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Circa il secondo bias, quello relativo all’errore introdotto dal cambiamento della linea di confine tra la superficie marina coperta da ghiaccio o esposta all’atmosfera, gli autori dicono che dato che la temperatura di superficie del mare si è alzata meno velocemente di quella dell’aria al di sopra del ghiaccio, se non si tiene conto dell’aumento della quantità di superficie marina esposta si introduce un condizionamento verso temperature più fredde dove il ghiaccio si scioglie, quindi occorre applicare un’altra correzione. Domanda: e dove il ghiaccio invece aumenta, cioè in Antartide? Mi risulta, diversamente che per l’Artico, che tale aumento non sia previsto nelle simulazioni, quindi questa correzione ai dati previsti può avvenire solo in un senso. A rigor di logica quello dell’Antartico dovrebbe essere un condizionamento verso il caldo per motivi uguali e contrari a quelli descritti e individuati nel paper. Considerato il fatto che la quantità globale di ghiaccio marino non è mutata, le due cose si dovrebbero elidere, lasciando quindi invariata la differenza tra modelli e simulazioni in ordine a questo secondo bias, ovvero a una parte di quel 38%.

Breve considerazione finale. Sempre nella pagina esplicativa, si legge anche che i conti sono stati fatti seguendo lo scenario emissivo più peggiorativo (RCP8.5 o BAU, che sta per Business ad Usual, nessun intervento sulle emissioni e forcing antropico più forte che mai), del quale scrivono testualmente che “probabilmente sovrastima il riscaldamento atteso per l’ultima decade“. Ciò significa che forse sovrastima anche tutto il resto?

NB: c’è una descrizione del paper anche su Science Daily.